Branford Marsalis - Belonging

A oltre quarant’anni dal suo esordio, Branford Marsalis continua a sorprendere, evolversi, dialogare con il presente senza mai perdere contatto con le sue radici. 

Belonging, il nuovo album pubblicato nel 2025, è l’ennesima prova della sua visione profonda e coerente del jazz: non come genere chiuso, ma come linguaggio vivo, aperto, inclusivo. Il titolo stesso – Appartenenza – è già una dichiarazione poetica e politica. Questo disco è un’opera matura e sincera, che riflette sulla comunità, sull’identità, sulla responsabilità di essere artista oggi.

Marsalis non ha mai avuto paura di mettersi in gioco. Lo ha fatto passando dal jazz al pop, dalla classica al teatro, da collaborazioni con Sting a tour con Wynton e il resto della dinastia Marsalis. Eppure, ogni volta che torna al suo quartetto acustico, si ha l’impressione che sia lì che si ritrovi pienamente. Belonging è proprio questo: un ritorno consapevole, non nostalgico, alla dimensione collettiva del jazz come esperienza condivisa.

Il Branford Marsalis Quartet, attivo ormai da decenni, è una delle formazioni più longeve e coese del panorama contemporaneo. Al fianco di Marsalis (sax tenore e soprano), troviamo Joey Calderazzo al pianoforte, Eric Revis al contrabbasso e Justin Faulkner alla batteria. Una squadra affiatatissima, capace di muoversi tra lirismo e swing, di alternare impeti quasi free a momenti di assoluta quiete.

Ogni brano dell’album è frutto di un lavoro collettivo che lascia spazio all’individualità, ma sempre al servizio della musica. Non ci sono esibizionismi, ma ricerca, interplay e una tensione costante verso qualcosa di più alto: il senso stesso di “appartenere” a una storia, a una tradizione, a un tempo presente che chiede ascolto e profondità.

Il disco si apre con To Be, una composizione intensa e meditativa, quasi una dichiarazione di intenti. Il sax di Marsalis canta con voce umana, scavando nei silenzi tanto quanto nelle note. Calderazzo ricama un contrappunto che sembra sospeso nel tempo, mentre Faulkner disegna ombre con le spazzole.

Ma Belonging è anche ritmo, slancio, danza. In Song Without Borders, il quartetto si lancia in un viaggio tra influenze africane, bebop e modale, con un groove che richiama Coltrane ma guarda anche al jazz europeo. Blue Nights, invece, è un blues moderno, teso e raffinato, che richiama gli anni ‘60 ma con uno spirito contemporaneo, quasi noir.

C’è anche spazio per l’ironia e la leggerezza, come nel brano Where the Saints No Longer March, un titolo eloquente che suggerisce una visione laica e terrena del sacro: una New Orleans evocata ma non imitata, filtrata dalla sensibilità lucida e moderna di Marsalis.

Ciò che colpisce di Belonging è il suo equilibrio. Non è un disco pensato per stupire, né per inseguire mode o nostalgie. È un’opera solida, profondamente onesta, che riflette la maturità artistica di Marsalis e del suo gruppo. Il sassofonista della Louisiana non cerca l’effetto, ma la verità: quella che emerge nel dialogo tra musicisti, nell’ascolto reciproco, nel fluire libero e disciplinato del jazz suonato dal vivo, senza fronzoli.

La registrazione, limpida e naturale, restituisce il suono caldo e diretto del quartetto. È musica che respira, che non ha paura del silenzio, che costruisce e smonta strutture senza perdere mai il senso della direzione.

In un mondo frammentato, in cui tutto cambia in fretta e spesso si perde il senso di connessione, Belonging è un disco che parla di radici, di memoria, di affetti. Ma anche di responsabilità: quella dell’artista che sceglie di non piegarsi all’effimero, e di usare la propria voce per creare bellezza, senso, comunità.

Branford Marsalis non ha bisogno di dimostrare nulla. Ma con questo album ci ricorda quanto il jazz possa ancora essere uno spazio di appartenenza, di dialogo, di verità. Belonging è un disco da ascoltare in profondità, senza fretta. Un’opera che ci invita a rallentare, ad ascoltare davvero – e forse, a sentirci un po’ meno soli.


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