Il ritorno di José James con 1978: Revenge of the Dragon è molto più di un semplice nuovo album: è una dichiarazione d’identità, un viaggio tra radici musicali, estetica afrofuturista e groove infuocati che guardano tanto agli anni Settanta quanto al futuro.
Pubblicato nel 2025, il disco segna una delle prove più coraggiose e viscerali del cantante americano, un artista che da sempre vive e trasforma il jazz contaminandolo con soul, hip hop, elettronica e spiritualità black.
Con 1978: Revenge of the Dragon, José James mette da parte (almeno momentaneamente) la raffinatezza lounge dei suoi precedenti progetti tributo per tuffarsi in un universo funk denso e ribollente, che fonde Prince e Sun Ra, Marvin Gaye e D’Angelo, Herbie Hancock e Flying Lotus.
Il risultato è un album viscerale, danzante, provocatorio e profondamente personale.
Il titolo 1978 non è scelto a caso: è l’anno di nascita di José James, ma anche un momento storico cruciale per la black music. Siamo nel pieno della rivoluzione funk, dell’emergere della disco, della prima ondata hip hop, della stagione dei concept album neri e spirituali. James prende tutto questo e lo rilegge con occhi contemporanei, intrecciando suoni vintage e produzioni elettroniche moderne.
La seconda parte del titolo, Revenge of the Dragon, ha una connotazione epica, quasi da film kung-fu anni Settanta, ma al tempo stesso richiama l’iconografia afrofuturista, la mitologia personale e collettiva che attraversa tutta l’opera. Il “drago” è forse un alter ego, o forse una metafora del potere creativo ritrovato. È la voce che resiste, che si reinventa, che brucia ancora di fuoco funk.
L’album si apre con una dichiarazione di intenti: The Return, un brano spoken word su tappeti di synth cosmici e beat in slow motion. Poi esplode Cosmic Love Affair, inno groove sospeso tra Parliament e Anderson .Paak, con fiati acidi e un basso che pulsa nel petto. La voce di José James è sensuale, granitica, ma anche flessibile, capace di passare da sussurri notturni a falsetti incandescenti.
La produzione è curatissima: José James ha collaborato con producer come Brian Bender, Georgia Anne Muldrow, e il beatmaker visionario MonoNeon, dando vita a un suono ricco, stratificato, sensuale ma mai patinato.
Con 1978: Revenge of the Dragon, José James abbandona la veste elegante del crooner jazz per abbracciare pienamente la propria natura di artista black contemporaneo, multidimensionale. Dopo i tributi a Billie Holiday (Yesterday I Had the Blues), Bill Withers e Erykah Badu, questo disco rappresenta un ritorno all’originalità più pura, al desiderio di raccontare se stesso senza mediazioni.
Qui non c’è la nostalgia dell’omaggio, ma la rivendicazione di un’identità musicale complessa e fluida. James si mette al centro della scena come autore, performer, ideatore di un universo sonoro e visivo. L’estetica dell’album, del resto, richiama fortemente il cinema blaxploitation, i fumetti underground, le atmosfere metropolitane di fine anni ’70 e le visioni cosmiche di artisti come Sun Ra o Janelle Monáe.
La pubblicazione del disco è accompagnata da una serie di video psichedelici e futuristi, in cui José James incarna un personaggio quasi fumettistico, tra samurai urbano e sciamano digitale. Il live show promesso per il tour mondiale sarà un’esperienza immersiva, a metà tra concerto e performance teatrale, con visual retrofuturistici e narrazione musicale.
José James è sempre stato un artista difficile da etichettare. Con 1978: Revenge of the Dragon dimostra, ancora una volta, che il jazz non è un genere ma un’attitudine: quella di mettersi in discussione, di ascoltare il tempo in cui si vive, di cercare connessioni nuove. È un disco che piacerà a chi ama il jazz contaminato, il funk viscerale, il soul cosciente. Ma anche a chi cerca, nella musica, una narrazione collettiva: quella di un’identità nera che si reinventa, si eleva, si racconta con voce propria.
José James ha ritrovato il fuoco. E ora lo condivide, traccia dopo traccia, battito dopo battito.

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