C’è un motivo se Freddie Hubbard è considerato uno dei più grandi trombettisti della storia del jazz: per la sua potenza tecnica, il lirismo infuocato, l’energia creativa che ha saputo portare in ogni contesto, dal hard bop agli esperimenti più elettrici.
Eppure, tra le numerose registrazioni in studio, sono i suoi concerti dal vivo a restituire in modo più autentico la sua natura vulcanica. On Fire: Live from the Blue Morocco, pubblicato postumo ma registrato nel cuore degli anni ’80, è una testimonianza preziosa di quel fuoco: un album che, come suggerisce il titolo, brucia.
Registrato nel 1989 al Blue Morocco Club di Washington D.C., questo live cattura Hubbard in un momento delicato ma artisticamente ancora vitale, circondato da giovani musicisti pronti a seguirlo su percorsi esplosivi. L’atmosfera è elettrica, il pubblico caldo e partecipe, e Freddie — tra assoli vertiginosi, improvvisazioni ardite e momenti di pura eleganza — sembra determinato a dimostrare ancora una volta la sua grandezza.
Negli anni ’60 e ’70, Hubbard era stato una figura chiave: dalla militanza nei Jazz Messengers di Art Blakey ai capolavori su Blue Note (Open Sesame, Ready for Freddie, Hub-Tones), fino alla virata più elettrica con CTI Records, dove firmò dischi come Red Clay e First Light. Ma gli anni ’80 non furono facili: problemi di salute, calo della voce strumentale, difficoltà a trovare una collocazione nel nuovo mercato jazz dominato da giovani leoni e revivalismi.
Eppure, proprio in questa fase, Hubbard non rinunciò alla scena live. Continuava a suonare nei club, a esplorare, a cercare quel dialogo diretto col pubblico che era sempre stato il cuore del suo linguaggio. On Fire documenta una di queste notti: lontano dalle grandi luci, ma carica di intensità.
Con Hubbard, in questa registrazione, troviamo una band giovane ma ben rodata: Vincent Herring al sax alto, Stephen Scott al piano, Peter Washington al contrabbasso, Carl Allen alla batteria.
Tutti musicisti che negli anni successivi avrebbero fatto carriera, ma che qui suonano al servizio del leader con energia e rispetto. Herring, in particolare, si distingue per un fraseggio fluente e aggressivo, quasi a rincorrere la tromba di Freddie. La sezione ritmica è agile e robusta, capace di sostenere i momenti più lirici come quelli più infuocati.
Hubbard, dal canto suo, è in ottima forma: la tecnica non è più quella esplosiva degli anni '60, ma la musicalità resta intatta. C’è qualcosa di più consapevole nei suoi fraseggi, un’intensità che non cerca più solo il virtuosismo, ma il significato. In First Light, ad esempio, trasforma il suo storico brano in una meditazione luminosa, mentre in One of a Kind (composizione inedita all’epoca) si lancia in assoli fiammeggianti che giustificano appieno il titolo dell’album.
L’atmosfera del Blue Morocco è palpabile: si sente il respiro del pubblico, l’acustica intima del locale, l’energia del momento. Non è una registrazione patinata da studio, ma un documento vivo e diretto. Proprio per questo On Fire risulta così prezioso: restituisce il sapore autentico di un set dal vivo, con tutti i rischi, gli imprevisti e la magia che ne derivano.
La scaletta alterna brani originali a standard reinterpretati con piglio personale, passando per momenti funkeggianti e ballate profonde. Il tutto sempre sotto il segno della libertà espressiva. È jazz suonato con passione, da musicisti che credono ancora nella forza del palco, nell’istante condiviso.
IRiscoperto e ristampato con audio rimasterizzato, On Fire: Live from the Blue Morocco è oggi un tassello fondamentale per capire la seconda fase della carriera di Hubbard. Non è un "classico" negli stessi termini dei dischi CTI o Blue Note, ma è un documento umano e musicale di straordinaria intensità. Mostra un artista che, pur tra difficoltà, non ha mai smesso di cercare la verità nella musica.
Per i fan di lunga data, è una testimonianza che scalda il cuore. Per chi si avvicina ora al mondo di Hubbard, è un modo per scoprire un lato meno noto ma altrettanto coinvolgente. E per tutti, è una conferma di quanto il jazz dal vivo, quando suonato con cuore e rischio, resti un’esperienza insostituibile.

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