Dayna Stephens - Monk’D

Il 10 ottobre 2025, l'etichetta Contagious Music pubblicherà "Monk'd", un album che rappresenta molto più di un semplice tributo a Thelonious Monk. 

Si tratta di un esperimento artistico coraggioso e profondamente personale firmato da Dayna Stephens, uno dei sassofonisti più distintivi della sua generazione, che per questo progetto ha scelto di abbandonare il suo strumento principale per abbracciare il contrabbasso.

La decisione di Stephens è tanto personale quanto pratica: voleva esplorare la musica di Monk dalla prospettiva del bassista, modellando il feeling e le fondamenta armoniche dall'interno. 

Non si tratta di un capriccio artistico, ma di una scelta meditata da parte di un musicista che ha sempre compreso il ruolo centrale del basso nel jazz.

"Quando scelgo un bassista per il mio trio o quartetto di sassofoni, sto scegliendo chi guiderà la band", spiega Stephens. "Controllano le note fondamentali di tutte le armonie e, soprattutto, il feeling del pulse che tutti nel raggio d'ascolto sentono internamente. È un ruolo che bramo di ricoprire quando ne ho la possibilità".

L'album è stato registrato in una sola giornata al leggendario Rudy Van Gelder Studio di Englewood Cliffs, New Jersey, luogo sacro del jazz che ha visto nascere alcuni dei capolavori più importanti della musica americana. Il quartetto vede Stephens al contrabbasso affiancato da: Ethan Iverson al pianoforte; Stephen Riley al sassofono tenore; Eric McPherson alla batteria.

La scelta del Rudy Van Gelder Studio non è casuale: lo studio ospitava un pianoforte che Monk aveva suonato - non quello su cui Iverson ha registrato, ma presente come fonte d'ispirazione. Un dettaglio che sottolinea l'attenzione maniacale di Stephens per l'autenticità storica e emotiva del progetto.

Cresciuto nella Bay Area e immerso nella musica di Monk fin da adolescente - prima attraverso una compilation del padre, poi suonando brani di Monk al liceo e al college - Stephens afferma che il suo tempo al Monk Institute "ha plasmato il resto della mia carriera". È proprio durante quegli anni formativi che ha iniziato a studiare il contrabbasso, prendendo lezioni da leggende come Christian McBride e Ron Carter.

Stephens ha selezionato attentamente composizioni meno conosciute dal catalogo di Monk, creando arrangiamenti che sottilmente cambiano metro, alterano la forma, o fondono più brani insieme. Il risultato più audace è "Just You and Me Smoking the Evidence", una suite ibrida che combina "Just You, Just Me", "Evidence" e il contrafact originale di Stephens, "Smoking Gun". Altri brani come "Ruby, My Dear" e "Ugly Beauty" sono lasciati intatti nella struttura, guidati invece dalla chiarezza interpretativa della band.

L'approccio di Stephens va oltre il semplice omaggio musicale, abbracciando un'autentica fedeltà storica. Stephens ha usato corde di budello per il suo contrabbasso; Riley ha suonato un Buescher 400 tenore d'epoca (prodotto tra il 1941 e il 1959).

L'album è stato ingegnerizzato da Maureen Sickler, assistente di lunga data di Van Gelder e custode dell'eredità dello studio. Stephens ha persino approcciato il mix con Monk in mente, facendo riferimento a diversi album originali di Monk per guidare le decisioni di panning traccia per traccia.

Il quartetto ha registrato l'intero album in una singola sessione, con prove minime e massima fiducia reciproca. Come racconta Stephens: "Il processo di collaborazione è stato facile e gioioso come qualsiasi disco che abbia mai fatto. Abbiamo tutti una cosa in comune: amiamo Monk".

La preparazione è stata essenziale ma non eccessiva: lui e Riley hanno provato brevemente come duo la sera prima; Iverson e McPherson hanno imparato la musica da soli. La chimica è stata immediata.

Stephens evidenzia due brani in particolare. "Humph" per la sua giocosità e il gioioso scambio tra basso e batteria, e "Coming on the Hudson", che reimmmagina l'originale di Monk in 3/4 con un ricorrente ritorno al 4/4 su ogni chorus - anche durante gli assoli. "Ho amato come ognuno abbia gestito in modo unico quel momento", dice, elogiando particolarmente la sottocorrente di terzine di McPherson.

Monk'd non cerca di sistemare Monk o di levigarlo. Rimette la sua musica sul filo dove appartiene - viva, personale e piena di domande. Questo è forse il più grande complimento che si possa fare al progetto di Stephens: la capacità di onorare l'eredità di Monk mantenendo intatta quella componente di imprevedibilità e sfida che rendeva unica la musica del grande pianista.

Come ogni appassionato di jazz che si rispetti sa: Thelonious Sphere Monk ha cambiato le regole del gioco. Con ritmi taglienti, armonie eccentriche e un tocco che colpiva come una punteggiatura, Monk non si è limitato a piegare le regole del jazz - ha creato un progetto completamente nuovo.

"Monk'd" rappresenta un capitolo affascinante in questa eredità continua, dimostrando come l'arte di Monk continui a ispirare e sfidare i musicisti di nuove generazioni, spingendoli a esplorare nuovi territori sonori e a reinventare il proprio approccio alla musica.

Con questo album, Dayna Stephens non solo onora uno dei giganti del jazz, ma dimostra anche che il vero tributo artistico non consiste nel copiare, ma nel trovare nuovi modi per far vivere lo spirito innovativo del maestro. Il risultato è un disco che suona contemporaneamente familiare e sorprendente, fedele e rivoluzionario - esattamente come avrebbe voluto Thelonious Monk.

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