"Very Early, Remembering Bill Evans" del Jim Witzel Quartet è proprio uno di questi casi: un album che dimostra come si possa rendere omaggio a una leggenda senza cadere nelle trappole dell'imitazione sterile.
La particolarità di questo progetto sta nella sua strategia apparentemente paradossale. Mentre ci si aspetterebbe che il pianista Phil Aaron cerchi di emulare le caratteristiche stilistiche di Evans, è invece il chitarrista Jim Witzel a farsi carico dell'eredità interpretativa del maestro.
Questo rovesciamento di ruoli non è solo un espediente artistico, ma rivela una comprensione profonda di ciò che rendeva Evans speciale: non tanto le sue diteggiature o le sue scelte armoniche specifiche, quanto piuttosto quell'approccio contemplativo e quella sensibilità lirica che caratterizzavano ogni sua esecuzione.
Witzel trasferisce sulla chitarra quella qualità introspettiva tipicamente evansiana, creando un dialogo musicale che onora lo spirito piuttosto che la lettera dell'eredità del pianista. Il risultato è un sound che suona familiare e sorprendente al tempo stesso, dove le melodie acquisiscono nuove sfumature attraverso il timbro della chitarra senza perdere la loro essenza originale.
Il quartetto è completato da Phil Aaron al pianoforte, Dan Feiszli al contrabbasso e Jason Lewis alla batteria, formando un ensemble che privilegia l'interplay sottile rispetto ai virtuosismi individuali. Aaron, liberato dal peso di dover "fare" Bill Evans, può concentrarsi su un accompagnamento che complementa piuttosto che competere, creando tappeti armonici che sostengono e valorizzano le interpretazioni chitarristiche di Witzel.
Questa dinamica permette al leader di esplorare composizioni iconiche come "Waltz for Debby", "Time Remembered" e la title track "Very Early" attraverso una lente completamente diversa, dove ogni brano viene decostruito e ricostruito mantenendo intatta la sua anima emotiva.
Ciò che distingue questo lavoro dalla massa degli omaggi post-mortem è l'assenza di quella reverenza paralizzante che spesso caratterizza simili progetti. Witzel e i suoi compagni di viaggio non sembrano intimoriti dall'eredità di Evans, ma piuttosto ispirati da essa. Non c'è la sensazione di stare ascoltando un museo del jazz, ma quella più vitale di una musica che continua a vivere e respirare attraverso nuove interpretazioni.
Il repertorio scelto bilancia sapientemente i classici più noti con pagine meno frequentate del catalogo evansiano, dimostrando una conoscenza approfondita dell'opera del maestro che va oltre i titoli di superficie. Ogni composizione viene affrontata con la serietà dovuta ma anche con quella libertà interpretativa che permette all'album di funzionare come opera autonoma.
La forza di "Very Early, Remembering Bill Evans" risiede nella sua capacità di essere simultaneamente un omaggio riuscito e un valido album di chitarra jazz contemporanea. Non richiede una conoscenza approfondita dell'opera di Evans per essere apprezzato, ma offre livelli di lettura più profondi a chi conosce il materiale originale.
L'album dimostra che il modo migliore per onorare un grande artista non è necessariamente quello di replicarne lo stile, ma quello di comprenderne l'essenza e reinterpretarla attraverso la propria sensibilità musicale. In questo senso, Witzel riesce nell'intento di creare qualcosa che Bill Evans stesso avrebbe probabilmente apprezzato: non una copia, ma una comprensione.
Pubblicato dalla Joplin Sweeney Music Company, questo lavoro si inserisce nel filone di quei progetti che dimostrano come il jazz contemporaneo possa guardare al passato senza rimanerne prigioniero. Witzel offre una lezione di stile su come affrontare l'eredità dei maestri: con rispetto ma senza soggezione, con serietà ma senza solennità.
"Very Early, Remembering Bill Evans" è, alla fine, quello che ogni tributo dovrebbe essere: un ponte tra passato e presente che arricchisce entrambi. Un album che conferma come la grande musica non muoia mai, ma continui a rinascere nelle mani di chi sa ascoltarla davvero.

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