L’idea che il suono e il dialetto calabrese provengano da luoghi marginali per proiettarsi e transitare, trascinando con sé le identità culturali che attraversano, mutando costantemente.
Senduki, una band nata in Calabria dall’incontro di cinque musicisti e artisti dalle esperienze profondamente diverse ma unite da un linguaggio comune: quello di una musica che mescola memoria, elettronica, radici, ritmo e proiezione.
È un progetto d’incontro fra vari percorsi artistici e sonori sul terreno del Dub, dell’ElettroAcustico e del World Oriented. Senduki mescola tratti forti di musica roots con il dub, il pop e l’energia del rock. È impossibile non ballare.
Un progetto nuovo, radicato e viscerale, che unisce mondi lontani verso uno stesso suono. Strumenti primordiali incontrano elettronica e digitale. La lira, la zampogna, i doppi flauti, i malarruni, i tamburelli, dialogano con basso elettrico, chitarre, batterie acustiche ed elettroniche e loop.
Su tutto, un modo di cantare arcaico ed evocativo.
Senduki è un esorcismo contro la noia del fast food, l’anestesia del fast sex, contro la musica non condivisa, contro il digitale irreale, contro le radici supposte come le radici nella supposta. Divertirsi senza dimenticare, dimenticare senza amnesie, stampare la bistecca in 3D ma almeno di 4 etti. Senduki è molto più di quello che Voi immaginate ma molto meno di quello che ancora non abbiamo fatto. È solo musica transitoria, importante perché composta di scarti del pop e di bobine “sul campo” tagliate male da Alan Lomax in persona. Cosa rimane oggi del suono dei nostri bisnonni fra la stazione spesso vuota di Catanzaro Lido e il traffico di Gallico anche in orari improbabili.
Tracce residuali di ance, di corde, di pelli vibranti in dialetti sempre più scomparsi che sopravvivono nell’intimo della nostra tenerezza. Poi arriva il bagno digitale dentro loop e vibrazioni che assestano il vetro della finestra, dentro le aderenze elettroacustiche di una telecaster, del basso, della batteria, delle polpette di ricotta quando è stagione. Loop di cotiche virtuali di animali sacrificali. Sono tutti residui delle nostre coscienze artistiche, frammenti dell’identità che è una parola inutile, che serve solo a giustificare le guerre oramai.
Nostra patria è il suono intero, quello delle periferie marginalizzate della memoria contadina, dei suoi abbandoni e dei suoi silenzi. Quello delle nuove solitudini del commercio digitale che ci vende anche a noi un basso Rickenbacker vintage in tinta acustica con una chitarra battente. Senduki nasce dalle ceneri dell’immaginario collettivo, dall’interruzione della nostalgia etnografica, dagli avanzi del pasto a base di oscilloscopi, dal moog di mio zio che non si accende più per l’umidità della cantina. Senduki è quello che resta di un souvenir del 1987, Greetings from Toronto e di tutto quel vino bevuto sulla costa ionica ccu Mastru Peppi. Senduki è avere la coscienza che il Dub non si può fare senza una zampogna bene accordata. Residui, precipitati, sublimazioni questo siamo noi, sperando che tutto ciò vi dia un poco di gioia e vi faccia ballare. (Ettore Castagna)

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