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| Brianmcmillen at English Wikipedia CC BY-SA 3.0 |
Nato il 16 agosto 1925, Waldron ha attraversato la scena jazz per oltre cinquant'anni, lasciando un'impronta indelebile pur rimanendo spesso nell'ombra dei grandi nomi con cui ha collaborato.
Nella sua cinquantennale carriera Waldron ha inciso più di cento album a suo nome e più di 70 con altri leader, una produzione sterminata che testimonia la sua instancabile creatività. La sua formazione classica al Queens College, dove si diplomò in composizione, si fuse con una passione per il jazz che lo portò a diventare uno dei protagonisti della scena newyorkese degli anni Cinquanta.
Come pianista Waldron si colloca fra i principali rappresentanti dell'hard bop e del post-bop nella scena newyorkese degli anni cinquanta, ma la sua versatilità lo portò ad esplorare anche i territori del free jazz negli anni successivi. Il suo stile inconfondibile era caratterizzato da un approccio percussivo e ipnotico, basato su ripetizioni percussive e spesso ipnotiche, di sapore afro-orientale.
Nato ad Harlem, Waldron crebbe a Brooklyn e si formò musicalmente tra la musica classica e il bebop. Negli anni Cinquanta si affermò come accompagnatore di alcune delle voci più importanti del jazz, da Billie Holiday – con cui condivise gli ultimi anni di carriera della cantante – a Abbey Lincoln, oltre a collaborare con Charles Mingus e Eric Dolphy. Ma fu proprio l’esperienza accanto a Billie Holiday a lasciare un segno indelebile: Waldron divenne il suo pianista stabile dal 1957 fino alla morte della cantante nel 1959, sviluppando un accompagnamento asciutto, pieno di pathos, quasi drammatico.
La sua carriera conobbe una brusca interruzione all’inizio degli anni Sessanta, a causa di problemi di salute legati all’abuso di sostanze. Dopo un periodo di riabilitazione, Waldron dovette reinventarsi musicalmente: il suo linguaggio cambiò, diventando più essenziale e ipnotico, fondato su cellule ritmiche e melodiche ripetute con forza e intensità. Questa trasformazione lo portò a sviluppare una poetica personale, capace di attraversare sia il free jazz sia l’avanguardia europea.
Trasferitosi in Europa dagli anni Settanta, si stabilì infine a Bruxelles, dove morì nel 2002. Waldron trovò nel Vecchio Continente un terreno fertile, collaborando con Steve Lacy, Jeanne Lee, Marion Brown, Archie Shepp, oltre a incidere numerosi album per etichette come ECM e Enja. In questi dischi emerge un artista maturo, capace di passare dalla meditazione quasi monastica a esplosioni improvvise di energia.
Il suo stile – a volte definito “ossessivo” – ha esercitato un fascino particolare su generazioni di musicisti: la ripetizione come ricerca, la densità armonica come espressione emotiva, la tensione drammatica come cifra poetica. Waldron non inseguì mai le mode del jazz, preferendo percorrere una strada solitaria che lo rese una voce unica, al di là di etichette o correnti.
A cento anni dalla sua nascita, la sua musica conserva intatta la capacità di sorprendere e commuovere. Brani come Soul Eyes – il suo standard più celebre – testimoniano la sua vena lirica, mentre le incisioni più radicali degli anni europei mostrano il volto di un artista inquieto e profondo.
Il centenario rappresenta l’occasione per riscoprire una figura che, pur non avendo mai goduto della fama di altri grandi pianisti del suo tempo, ha lasciato un’eredità fondamentale: quella di un musicista che ha saputo trasformare le proprie fragilità in un linguaggio personale, potente e intensamente umano.
Ecco un film/documentario di Tom Van Overberghe che esamina la vita ed il contributo del leggendario pianista.

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