Gianluigi Trovesi apre il Parma Frontiere Festival

Figura centrale della musica di ricerca italiana, artista raffinato e sempre capace di sorprendere, Gianluigi Trovesi è da tempo un ospite d’eccezione del Festival, sia in formazioni cameristiche sia al fianco di grandi ensemble. 

Torna quest’anno con un concerto intitolato Profumo di Violetta che apre il Parma Jazz Festival sabato 20 settembre, alle 20:30, al Teatro Farnese. Per questa edizione, il Maestro presenta un progetto speciale con la Filarmonica Mousiké diretta da Savino Acquaviva, affiancato dai suoi storici compagni di viaggio Marco Remondini al violoncello e Stefano Bertoli alla batteria.

L’opera nasce dall’incontro tra temi cari alla poetica di Trovesi – la banda, il repertorio operistico, l’improvvisazione – e si sviluppa come un raffinato intreccio di epoche, stili ed esperienze. Le pagine d’opera si mescolano a elaborazioni e adattamenti, citazioni e nuove composizioni, creando una trama sonora complessa e in continua trasformazione. 

Guidato dalla fantasia di Trovesi, il lavoro procede per accostamenti, contrasti e sovrapposizioni, in un gioco che ricorda i meccanismi della cultura pop contemporanea: taglia e incolla, contaminazioni, dialoghi inattesi. Il risultato è una musica che alterna leggerezza e profondità, ironia e solennità, in cui l’improvvisazione del solista si intreccia con melodie, armonie e ritmi per evocare atmosfere emotive sempre diverse.

Charles Tolliver's Music-Inc, "Jazz Session", France 1971 (video)

Gene Jackson, CC BY-SA 2.0

Nel panorama del jazz degli anni ’70, pochi gruppi riuscivano a combinare virtuosismo tecnico, energia contagiosa e una raffinata sensibilità compositiva come il quartetto di Charles Tolliver, Music-Inc. 

Una testimonianza straordinaria di questo ensemble è offerta dal video “Jazz Session”, trasmesso dalla televisione francese l’8 novembre 1971, che immortala la band in una performance live in studio. Sebbene la data esatta della registrazione rimanga sconosciuta, la potenza e la freschezza dell’esecuzione sono palpabili ancora oggi.

Il gruppo era formato da musicisti di altissimo livello: Charles Tolliver alla tromba, Stanley Cowell al pianoforte, Wayne Dockery al basso e Alvin Queen alla batteria. Ognuno di loro contribuisce con il proprio linguaggio musicale a creare un suono compatto, brillante e pieno di sorprese armoniche.

La scaletta proposta nella sessione televisiva è un piccolo compendio del talento compositivo e interpretativo del quartetto. Si apre con “Orientale”, firmata da Cowell, un brano in cui le sfumature melodiche si intrecciano con ritmi pulsanti, creando un’atmosfera sospesa e coinvolgente. Seguono “Lynnsome” e “Ruthie’s Heart”, composizioni di Tolliver, dove la tromba emerge come voce solista con linee incisive, melodiche e al contempo improvvisative, sostenuta dalla solidità ritmica di Dockery e Queen. Chiude la sessione “Prayer for Peace”, altro pezzo di Cowell, che con la sua delicatezza e profondità espressiva evidenzia la capacità del quartetto di modulare intensità e sentimento, passando dalla tensione all’eleganza lirica senza soluzione di continuità.

Jazz Supreme al Carnegie Hall – Alice Coltrane, Rahsaan Roland Kirk e Pharoah Sanders (1975)

Il 22 marzo 1975, la Carnegie Hall di New York diventa il palcoscenico di uno degli eventi più significativi nella storia del jazz spirituale americano. 

Per la prima e unica volta, tre dei più visionari interpreti del free jazz e della ricerca trascendentale si ritrovano insieme: Alice Coltrane, Rahsaan Roland Kirk e Pharoah Sanders, in un doppio spettacolo che ridefinirà per sempre il concetto di concerto jazz.

L'annuncio pubblicitario di "New Audiences & WRVR-FM Present Jazz Supreme" promette "Two Special Shows At Carnegie Hall" con orari alle 7:00 e 10:30 PM. Non è solo un concerto, è una dichiarazione d'intenti: il jazz come veicolo di elevazione spirituale, presentato nel tempio più prestigioso della musica classica americana.

La scelta del titolo "Jazz Supreme" non è casuale. Riecheggia direttamente "A Love Supreme" di John Coltrane, suggerendo che questo evento rappresenta la continuazione naturale della ricerca spirituale iniziata dal grande sassofonista scomparso nel 1967. I tre protagonisti della serata sono tutti, in modi diversi, eredi diretti di quella rivoluzione.

Alice Coltrane arriva a questo concerto nel pieno della sua trasformazione artistica e spirituale. Vedova di John da otto anni, ha già pubblicato capolavori como "A Monastic Trio", "Huntington Ashram Monastery" e "World Galaxy", dimostrando di essere molto più che la continuatrice dell'opera del marito: è una visionaria a pieno titolo.

Nel 1975, Alice sta esplorando sempre più profondamente la fusione tra jazz afroamericano e spiritualità orientale. Le sue composizioni incorporano elementi della musica indiana, uso di strumenti come la tampura e l'organo Hammond trattato in modo quasi orchestrale. Sul palco della Carnegie Hall, la sua presenza rappresenta la sintesi perfetta tra tradizione e innovazione.

La pianista e arpista porta con sé non solo la tecnica raffinata acquisita negli anni con John, ma anche una sensibilità mistica che trasforma ogni performance in un rito di passaggio. I suoi assoli all'arpa, in particolare, creano atmosfere di meditazione profonda che preparano il terreno per le esplosioni sonore dei suoi compagni di palco.

Roland Kirk, già leggenda vivente per la sua capacità di suonare simultaneamente strumenti multipli, arriva alla Carnegie Hall nel momento di massima creatività. Cieco dalla nascita, Kirk ha sviluppato una percezione sonora che va oltre i limiti fisici, creando paesaggi musicali di una complessità e ricchezza inimmaginabili.

La sua presenza scenica è elettrizzante: con manzello, strich e sassofono tenore imbracciati contemporaneamente, Kirk non suona semplicemente la musica, la abita completamente. La sua tecnica della respirazione circolare gli permette di sostenere note per minuti interi, creando droni ipnotici che fungono da fondamenta per improvvisazioni ardite.Kirk porta sul palco anche la sua missione sociale: per lui il jazz non è solo arte, ma resistenza culturale. Ogni sua performance è un manifesto per la preservazione e l'evoluzione della tradizione musicale afroamericana. Alla Carnegie Hall, questa missione assume una valenza quasi profetica.

Pharoah Sanders completa la triade con il suo approccio viscerale al sassofono tenore. Ex membro del gruppo di John Coltrane negli anni più radicali (1965-1967), Sanders ha contribuito a definire il suono del free jazz più estremo con album come "Ascension" e "Om".

Nel 1975, Sanders ha già iniziato la sua evoluzione verso sonorità più accessibili ma non meno spirituali. Album come "Karma" (1969) con il celebre "The Creator Has a Master Plan" hanno dimostrato la sua capacità di bilanciare intensità emotiva e melodia, grido primordiale e bellezza contemplativa. Sul palco della Carnegie Hall, Sanders rappresenta il ponte tra il free jazz più radicale e la ricerca di una spiritualità universale. Il suo suono, capace di passare da sussurri appena udibili a urli che sembrano invocare gli dei, trasforma ogni brano in un'esperienza catartica.

Ciò che rende questo concerto unico non sono solo i singoli artisti, ma la loro interazione. Alice Coltrane fornisce la struttura armonica e l'atmosfera meditativa, Kirk apporta l'energia ritmica e la complessità timbrica, Sanders aggiunge l'intensità emotiva e la profondità spirituale. Insieme, creano una musica che trascende le categorie tradizionali. Non è più solo jazz, né solo musica spirituale: è un linguaggio universale che parla direttamente all'anima. Il pubblico della Carnegie Hall assiste non a un concerto, ma a una cerimonia collettiva di trasformazione.

Il concerto si svolge in un momento cruciale della storia culturale americana. Il movimento per i diritti civili ha raggiunto molti dei suoi obiettivi legali, ma la comunità afroamericana sta cercando nuove forme di espressione identitaria. Il jazz spirituale rappresenta una di queste forme: una rivendicazione culturale che va oltre la protesta per abbracciare la celebrazione.

La controcultura bianca, dal canto suo, sta esplorando filosofie orientali, pratiche meditative, e forme alternative di spiritualità. Il jazz di Alice Coltrane, Kirk e Sanders offre un ponte perfetto tra queste due ricerche, creando un pubblico trasversale unito dalla sete di trascendenza.

Le recensioni dell'epoca parlano di un'esperienza "transformativa" e "mistica". Il critico del New York Times scrive di "tre ore di musica che hanno ridefinito il concetto stesso di concerto jazz", mentre Village Voice definisce l'evento "una lezione di spiritualità attraverso il suono".

Ma l'impatto va oltre le recensioni. Questo concerto stabilisce un precedente per quello che diventerà il "jazz spirituale" degli anni '80 e '90, influenzando generazioni di musicisti da Pharoah Sanders stesso (che continuerà a esplorare questa direzione) fino ai contemporanei Kamasi Washington e Shabaka Hutchings.

Cinquant'anni dopo quella notte storica, l'influenza del concerto continua a riverberare. La recente rivalutazione del lavoro di Alice Coltrane, la riscoperta delle registrazioni di Roland Kirk, e il rinnovato interesse per il jazz spirituale dimostrano quanto quella serata fosse profetica.

La Carnegie Hall stessa ha riconosciuto l'importanza storica dell'evento, inserendolo tra i concerti più significativi mai ospitati nelle sue sale. Per gli appassionati di jazz, il 22 marzo 1975 rimane una data da ricordare: la notte in cui tre profeti della musica si incontrarono per mostrare al mondo che il jazz poteva essere molto più di intrattenimento – poteva essere rivelazione.

Il concerto del 22 marzo 1975 rappresenta l'apice del jazz come ricerca spirituale. Alice Coltrane, Rahsaan Roland Kirk e Pharoah Sanders non si limitarono a suonare insieme: crearono un momento di grazia collettiva che trasformò un teatro in tempio, un pubblico in congregazione, la musica in preghiera.

Charlie Rouse - Cinnamon Flower: The Expanded Edition (2 LP)

Charlie Rouse - Cinnamon Flower
Quasi cinquant'anni dopo la sua prima pubblicazione, uno dei gioielli meno conosciuti del sassofonista tenore Charlie Rouse torna a splendere con una nuova luce. Cinnamon Flower: The Expanded Edition rappresenta molto più di una semplice ristampa: è la riscoperta di un capolavoro che unisce il bebop tradizionale alle seducenti sonorità brasiliane degli anni '70.

Charlie Rouse, meglio conosciuto per la sua lunga collaborazione con Thelonious Monk dal 1959 al 1970, ha sempre vissuto nell'ombra dei giganti del jazz. Eppure, questo album del 1977, originariamente pubblicato dalla Douglas Records, dimostra la sua capacità di reinventarsi artisticamente, abbracciando le influenze della bossa nova e della musica brasiliana che negli anni '70 stavano conquistando il mondo del jazz americano.

Ciò che rende questa edizione espansa davvero speciale è la sua natura duplice. Resonance Records, nota per il suo meticoloso lavoro di archivio, presenta sia la versione originale dell'album che una versione alternativa, offrendo un'esperienza d'ascolto completa e rivelando le diverse fasi creative del progetto.

La versione originale include le modifiche del produttore Alan Douglas, che arricchì le sessioni con musicisti come il leggendario batterista soul Bernard Purdie, il tastierista Roger Powell al sintetizzatore di archi e il trombonista Clifford Adams dei Kool & the Gang. Questi "dolcificanti" sonori, come sono stati definiti, conferiscono all'album un sapore più commerciale senza compromettere l'integrità artistica.

La seconda versione presenta invece le registrazioni nella loro forma originale, catturate dall'ingegnere George Klabin (fondatore di Resonance Records) ai Sound Ideas Studios di New York City, permettendo di apprezzare l'essenza più pura delle interpretazioni di Rouse.

Jerome Sabbagh - Stand Up!

Jerome Sabbagh - Stand Up!
Sassofonista e compositore Jerome Sabbagh si è sempre distinto come artista che difende fermamente i valori in cui crede: integrità artistica, individualità audace, coscienza sociale e una visione personale distintiva. 

Il suo nuovo vibrante album, "Stand Up!", in uscita il 17 ottobre 2025 via Analog Tone Factory, afferma questi valori in modi molteplici, unendo composizioni memorabili all'esecuzione fervente del quartetto storico di Sabbagh.

Con "Stand Up!", Sabbagh celebra più di 20 anni con il suo straordinario quartetto - il chitarrista Ben Monder, il contrabbassista Joe Martin e, al suo debutto discografico con la band, il batterista Nasheet Waits. L'album segna la prima pubblicazione del gruppo in oltre un decennio, un periodo durante il quale Sabbagh si è concentrato su collaborazioni proficue con leggende del jazz come il pianista Kenny Barron ("Vintage") e il compianto batterista Al Foster ("Heart").

Ma perché questa lunga pausa? Come spiega lo stesso sassofonista: "Molto della mia musica jazz preferita è stata creata da band che lavoravano insieme. I primi e secondi quintetti di Miles Davis, il quartetto di John Coltrane, il trio di Bill Evans, Lovano/Frisell/Motian – quelle sono vere band. Parte di quello che le rendeva così grandi era il fatto che suonavano insieme con una certa frequenza".

"Stand Up!" è stato registrato dal vivo su nastro analogico e pubblicato sulla neonata etichetta dello stesso sassofonista, Analog Tone Factory. Questa scelta non è casuale: rappresenta la filosofia artistica di Sabbagh, che privilegia l'autenticità dell'esecuzione e il calore del suono analogico rispetto alle facilità della tecnologia digitale.

L'album sarà disponibile in vari formati: LP AAA 180g (pressatura one-step e pressatura standard), reel-to-reel e CD, tutti disponibili tramite analogtonefactory.com, oltre alla versione digitale 24 bit / 192k. Questa varietà di formati dimostra l'attenzione di Sabbagh per i diversi tipi di ascoltatori e la sua volontà di offrire la migliore esperienza d'ascolto possibile.

Il titolo "Stand Up!" non è solo una dichiarazione musicale, ma anche un manifesto artistico e sociale. In un'epoca in cui l'industria musicale spinge spesso verso compromessi commerciali, Sabbagh sceglie di "alzarsi in piedi" per i suoi principi: l'autenticità dell'espressione, la profondità compositiva, e l'importanza delle relazioni musicali durature.

Addio a Akiko Tsuruga, la voce dell’organo jazz che ha unito due mondi

woodleywonderworks, CC BY 2.0

Il 13 settembre 2025 si è spenta a Brooklyn, all’età di 58 anni, Akiko Tsuruga-Magnarelli, una delle organiste più rappresentative della scena jazz contemporanea. La sua morte, dovuta a una malattia improvvisa, ha scosso l’ambiente musicale internazionale, privandolo di una figura che coniugava tradizione e modernità in modo unico.

Nata a Osaka il 1° settembre 1967, Akiko iniziò a suonare l’organo quando aveva appena tre anni. La Yamaha Music School le offrì le prime basi, ma il suo talento andava oltre la tecnica: fin da bambina mostrava una sensibilità fuori dal comune verso il fraseggio, il ritmo e le atmosfere musicali. Dopo gli studi al Osaka College of Music, scelse di dare una svolta alla sua vita artistica trasferendosi a New York nel 2001, accettando l’invito del batterista Grady Tate.

Fu lì che conobbe Dr. Lonnie Smith, uno dei grandi maestri dell’organo Hammond. L’incontro si rivelò decisivo: sotto la sua influenza, Akiko affinò uno stile che sarebbe diventato il suo marchio distintivo. Il suo suono era caldo, incisivo, intriso di soul e swing, ma sempre elegante. Non era semplice emulare i giganti dell’organo jazz — da Jimmy Smith a Jack McDuff — senza cadere nella ripetizione. Akiko ci riuscì, aggiungendo una voce personale, capace di raccontare il presente senza tradire le radici.

Per oltre 15 anni collaborò con il sassofonista Lou Donaldson, portando avanti un dialogo musicale che la fece conoscere e apprezzare in tutto il mondo. Suonò anche con Frank Wess, Jimmy Cobb, Houston Person, e tanti altri nomi leggendari. Ogni volta il suo organo sapeva inserirsi come protagonista, senza mai oscurare i compagni di palco.

Un nuovo capitolo per il mito di Ronnie Scott’s

N Chadwick / Ronnie Scott's
Da oltre sessant’anni il nome Ronnie Scott’s evoca le atmosfere calde e vibranti del jazz londinese. Nato nel cuore di Soho nel 1959, il club è diventato un punto di riferimento internazionale, palcoscenico per giganti come Miles Davis, Chet Baker, Nina Simone, fino agli artisti contemporanei. 

Oggi, quella storia gloriosa si prepara a scrivere un nuovo capitolo: l’apertura di un nuovo spazio musicale con 140 posti, destinato a espandere l’eredità di uno dei club più celebri al mondo.

Il nuovo locale sorgerà “Upstairs at Ronnie’s”, al primo piano della storica sede di 47 Frith Street, Soho, Londra. Non un trasferimento, ma un ampliamento: lo spazio, già presente e chiuso per lavori a partire dall’estate 2024, è stato ripensato come una sala intima, con un’acustica potenziata, dettagli di design art déco e un bar dedicato. Sarà un ambiente concepito per valorizzare la vicinanza tra pubblico e musicisti, restituendo quella sensazione di contatto diretto che ha reso leggendario il Ronnie Scott’s fin dagli anni Sessanta.

Il nuovo club non sarà solo un’estensione fisica, ma anche culturale. Ospiterà concerti che spaziano dai grandi nomi emergenti alle sonorità meno convenzionali, con una programmazione pensata per mantenere lo spirito del locale originario: un equilibrio costante tra tradizione e innovazione. Sarà uno spazio di sperimentazione, un rifugio per musicisti e appassionati, un laboratorio di idee musicali.

Spoleto Jazz 2025

La musica jazz torna protagonista nella città simbolo dell’eccellenza artistica italiana con la sesta edizione di Spoleto Jazz, in programma dal 10 ottobre al 22 novembre 2025 presso due teatri iconici della città: il Caio Melisso – Spazio Carla Fendi e il Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti. 

Un progetto ideato, promosso e organizzato da Visioninmusica, con il contributo e la collaborazione del Comune di Spoleto, che conferma la vitalità e la visione di una rassegna capace di coniugare prestigio internazionale, programmazione originale e apertura al nuovo.

Dopo i successi delle precedenti edizioni, la rassegna si prepara a offrire al pubblico un viaggio sonoro ricco e trasversale, con quattro concerti che spaziano dalle atmosfere sofisticate dello swing alla potenza espressiva delle influenze latino-americane, passando per la sperimentazione vocale e la fusion d’autore.

«Spoleto è storicamente sinonimo di teatro, musica classica e danza – afferma Silvia Alunni, direttrice artistica del festival – ma con Spoleto Jazz abbiamo scommesso su una nuova identità musicale, che in cinque anni ha saputo costruire un pubblico attento, trasversale e curioso. Il jazz qui non è solo suono: è ricerca, visione, narrazione. E quest’anno più che mai, con il titolo Jazz not war!, vogliamo affermare un principio profondo: la musica come linguaggio di pace, come spazio di dialogo e comprensione reciproca. Il jazz è nato per abbattere le barriere, non per erigerle; è una forma di espressione che unisce, che trasforma le differenze in armonia. Questo è il messaggio che portiamo sul palco, ed è la direzione che ci guida in ogni scelta artistica. Grazie alla fiducia delle istituzioni e all’appoggio del Comune, abbiamo potuto portare sul palco progetti originali, mai scontati, capaci di dialogare con il presente. E il pubblico ha risposto con entusiasmo fin dall’inizio, confermandoci numeri importanti e un’attenzione crescente da parte della stampa e degli operatori culturali».

A inaugurare la rassegna, venerdì 10 ottobre, sarà Lari Basilio, chitarrista brasiliana apprezzata a livello globale per la sua sensibilità e la sua tecnica fuori dal comune. Il suo progetto Redemption rappresenta una sintesi perfetta tra virtuosismo e narrazione emotiva, in un equilibrio sospeso tra jazz moderno, rock strumentale e suggestioni acustiche.

Venerdì 17 ottobre, sarà la volta di Michael Mayo, astro nascente del vocal jazz americano. Con FLY, l’artista ridefinisce il concetto di canto jazzistico fondendolo con elettronica, soul e sperimentazione timbrica. Dotato di una voce caleidoscopica e di un senso della performance magnetico, Mayo trasporta lo spettatore in un universo sonoro personale e profondamente innovativo.

European Jazz Conference 2025: dal 25 al 27 settembre tre giorni di concerti gratuiti a Bari

I talenti del jazz italiano a Bari per una tre giorni di concerti gratuiti in occasione dell’ European Jazz Conference, importante incontro annuale dei professionisti del settore jazz e delle musiche creative e improvvisate che riunisce ogni anno oltre 400 delegati provenienti da 40 Paesi che si svolge a Bari dal 25 al 28 settembre. 

Puglia Culture, che promuove la conferenza internazionale con Europe Jazz Network nell’ambito delle azioni del progetto Puglia Sounds, organizza una programmazione gratuita, un Fringe festival per far conoscere la vitalità della scena jazz pugliese e nazionale ai numerosi delegati internazionali e coinvolgere il grande pubblico in questo importante appuntamento. 

Il programma dei concerti parte giovedì 25 settembre,  ore 21.00 via Sparano angolo Corso Vittorio Emanuele II, con una serata dedicata ai giovani talenti, affiancati dai loro docenti, promossa in collaborazione con il Comune di Bari. In scena gli allievi di due vere e proprie “Istituzioni” cittadine che da oltre quarant’anni coltivano e trasmettono il Jazz con passione e qualità didattica, ciascuna con le proprie peculiarità: la Scuola di Musica Jazz del Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari e il Pentagramma coordinate rispettivamente da Roberto Ottaviano e Guido Di Leone. Al centro della serata jam session e una selezione di brani scelti ad hoc per mettere in risalto tanto le potenzialità collettive quanto quelle individuali degli artisti coinvolti, offrendo al pubblico un’esperienza di Jazz viva, autentica e in continua trasformazione.  

Venerdì 26 settembre  un ricco calendario di concerti tra Auditorium Vallisa e Teatro Kursaal Santalucia. Dalle ore 21 Auditorium Vallisa ospita Zoe Pia & le Sculture Sonanti, progetto in cui la musicista sarda suona l’opera scultorea dell’artista Luca Zarattini, uno dei sorprendenti strumenti musicali ibridati con ceramica smaltata e trasformati in veri e propri pezzi d’arte, alla quale si aggiungono poi clarinetto tradizionale, launeddas, campanacci sardi e soundscape; Federica Michisanti Trio, il trio propone per lo più composizioni di Michisanti, che mantengono una sonorità che attinge dalla musica colta europea e dall’avanguardia jazzistica, lasciando molto spazio all’improvvisazione estemporanea; Sliders, atipica formazione musicale che non ha precedenti nella storia del jazz italiano, un trio di tromboni fondato nel 2018 da Filippo Vignato, Federico Pierantoni e Lorenzo Manfredini, tra i più rilevanti e riconosciuti giovani esponenti del proprio strumento nella scena italiana ed europea; Alberto Parmegiani ‘Millennium’ feat. Donatella Montinaro,  progetto nato da un idea di estetica musicale che per Parmegiani comincia nel 2018 con l’album “Under a Shimmery Grace” in cui l’idea del jazz è fortemente contaminata dalle nuove generazioni esposte al jazz, alla musica indie ed elettronica. 

Enrico Rava & Fred Hersch - Piacenza Jazz Fest 2023 (video)

Il Piacenza Jazz Fest si conferma ancora una volta un palcoscenico privilegiato per incontri musicali di altissimo livello. 

Tra gli appuntamenti più significativi spicca il concerto di Enrico Rava e Fred Hersch, registrato il 25 marzo 2023 nella suggestiva cornice della Galleria Alberoni e oggi disponibile in un video di 71 minuti sulla piattaforma culturale ARTE fino al 24 marzo 2026.

L’incontro tra il decano del jazz italiano e il pianista americano, tra i più raffinati interpreti contemporanei, è la naturale estensione del loro album The Song Is You. Un progetto che si muove tra standard e composizioni originali, rilette con uno sguardo personale, sempre in bilico tra lirismo e sperimentazione.

Il palco di Piacenza restituisce un’atmosfera intima: pochi elementi scenici, luci calde, un pubblico attento. Tutto è concentrato sull’essenziale, sul flusso del dialogo musicale. La tromba di Rava si muove con il suo tipico fraseggio cantabile, sospeso, a tratti rarefatto; il pianoforte di Hersch risponde con armonie sofisticate, disegni melodici che aprono spazi di respiro e improvvisazione. Ne scaturisce un discorso fluido, privo di sovrastrutture, che rende palpabile la complicità artistica tra i due.