Mehldau non si limita a reinterpretare le canzoni di Smith, ma le avvolge nel suo linguaggio pianistico e nella sua sensibilità compositiva. Il risultato è un album che vive di continuità tra generi: da un lato l’indie folk introspettivo e fragile di Smith, dall’altro il jazz e le armonie complesse di Mehldau.
Il titolo stesso, Ride into the Sun, sembra evocare un passaggio simbolico, un movimento verso la luce dopo una lunga immersione nel buio interiore.
Il cuore del disco è costituito da dieci brani scritti da Elliott Smith, affiancati da quattro composizioni originali di Mehldau. A questi si aggiungono due riletture che completano il quadro: Thirteen dei Big Star e Sunday di Nick Drake. È un percorso musicale che tesse fili sottili tra artisti diversi ma accomunati da un senso di vulnerabilità e di ricerca poetica.
Per comprendere la portata di questo progetto, è importante ricordare chi fosse Elliott Smith. Nato a Omaha nel 1969 e cresciuto a Portland, divenne una delle voci più autentiche della scena cantautorale americana degli anni Novanta. La sua scrittura, segnata da un lirismo fragile e da melodie delicate, lo portò a emergere prima con la band Heatmiser e poi con una carriera solista che raggiunse l’apice di notorietà con la candidatura all’Oscar per Miss Misery, colonna sonora del film Good Will Hunting.
Smith seppe raccontare con schiettezza la solitudine, la lotta interiore e la ricerca di un equilibrio precario tra dolore e bellezza. Le sue canzoni, spesso costruite su arpeggi di chitarra e armonie vocali stratificate, hanno influenzato intere generazioni di musicisti. La sua morte prematura nel 2003 ha reso la sua figura ancora più emblematica, simbolo di una sensibilità estrema capace di toccare corde universali.
Accanto a Mehldau troviamo collaboratori che arricchiscono la profondità del progetto: Daniel Rossen, voce e chitarra, conferisce un colore folk moderno; Chris Thile, con la sua mandolina e le linee vocali, aggiunge una dimensione luminosa e acustica; l’orchestra da camera guidata da Dan Coleman amplia lo spettro sonoro con arrangiamenti che avvolgono le canzoni di una delicatezza quasi cinematografica. La sezione ritmica, con Felix Moseholm al contrabbasso, John Davis al basso elettrico e Matt Chamberlain alla batteria, dona solidità e respiro alle interpretazioni.
Tra i momenti più intensi del disco spiccano Southern Belle, dove l’energia della chitarra dialoga con la sensibilità pianistica, e Colorbars, che diventa una sorta di meditazione musicale sul tema della dissolvenza e del ricordo. Le composizioni originali di Mehldau, disseminate tra le riletture, non cercano di imitare Smith ma ne raccolgono lo spirito, creando un continuum emotivo che rende l’album coeso e narrativamente forte.
Ride into the Sun non è soltanto un tributo, ma un’opera che prova a immaginare un dialogo possibile tra due mondi: quello di un cantautore fragile e visionario e quello di un pianista che ha fatto della riflessione e della stratificazione armonica la sua cifra artistica. L’incontro tra le melodie semplici e penetranti di Smith e le armonie complesse di Mehldau genera un equilibrio nuovo, che trasforma il materiale originario senza snaturarlo.
Il risultato è un disco che celebra la memoria di Elliott Smith rendendola viva, attuale e aperta a nuove interpretazioni. Mehldau non si limita a guardare indietro, ma proietta questo repertorio in una dimensione diversa, costruendo un ponte tra il passato e il presente. È un lavoro che restituisce dignità e nuova vita a canzoni intrise di fragilità e bellezza, portandole verso una luce inaspettata.
Con Ride into the Sun, Brad Mehldau firma un album di rara intensità, capace di unire la profondità emotiva di Elliott Smith con la sua personale visione musicale. È un progetto che non vive di nostalgia, ma di dialogo creativo, e che invita l’ascoltatore a lasciarsi trasportare in un viaggio intimo, sospeso tra memoria e rinascita.

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