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| Bjørn Erik Pedersen CC BY-SA 4.0 |
Sul palco, tre forze convergenti: il sassofonista Chris Potter, il compositore e arrangiatore Mike Holober e la WDR Big Band, una delle orchestre jazz più prestigiose d’Europa. L’occasione era il debutto della suite Random Moves e la prima esecuzione orchestrale di alcuni dei brani più emblematici di Potter.
Conosciuto per la sua inesauribile creatività, Chris Potter è un sassofonista che sa fondere lirismo, tecnica e avventura. In questa serata, il suo sax tenore non era soltanto strumento solista, ma una voce narrante, capace di aprire spazi sonori e condurre la Big Band in territori inesplorati.
La sua capacità di intrecciare fraseggi complessi e melodie immediate ha dato al concerto un’energia che oscillava tra il personale e il collettivo.
Se Potter rappresentava l’istinto creativo, Mike Holober era l’architetto del paesaggio sonoro. Pianista e compositore americano, Holober ha concepito Random Moves come una suite in più movimenti, con titoli evocativi come Clean Lines, Angle of Repose, Alternate Routes e Lay of the Land. Ogni sezione apriva un percorso nuovo: linee chiare, momenti sospesi, deviazioni inaspettate, mappe musicali che trovavano sempre un nuovo equilibrio.
Holober ha anche curato gli arrangiamenti di alcuni brani di Potter, come The Source, Invisible Man, What You Wish, Heart in Hand, The Visitor e Other Plans. In questo modo, la serata ha messo in dialogo due linguaggi: la forza tematica di Potter e l’orchestrazione avvolgente di Holober.
La WDR Big Band di Colonia, con la sua combinazione di precisione tecnica e sensibilità jazzistica, è stata la terza protagonista del concerto. I suoi fiati hanno amplificato i colori della scrittura, la sezione ritmica ha dato profondità e dinamismo, e l’intera orchestra ha saputo alternare potenza collettiva e delicatezza cameristica. L’ensemble ha accompagnato Potter con rispetto e intensità, lasciandogli spazio e al tempo stesso amplificando ogni gesto musicale.
Il risultato non era mai statico: ogni passaggio rinnovava il dialogo tra solista e orchestra, ogni movimento si intrecciava con il successivo. L’effetto complessivo era quello di un racconto sonoro che non si esauriva in una semplice esecuzione musicale, ma costruiva un’esperienza immersiva.
Con Random Moves, Holober, Potter e la WDR Big Band hanno dimostrato che il jazz contemporaneo può spingersi oltre i confini del club e della piccola formazione. Qui, l’improvvisazione non era sacrificata sull’altare dell’orchestrazione, ma esaltata dal contrasto con la massa sonora della Big Band.
Il titolo Random Moves non va inteso come casualità, ma come scelta deliberata di muoversi oltre le convenzioni, di cercare direzioni nuove. È il jazz che continua a reinventarsi: radicato nella tradizione, ma proiettato verso il futuro.

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