Dopo aver abbandonato "la sprawl tech-heavy" del suo lavoro precedente come "Server Farm" (Irabbagast, 2025), il sassofonista e compositore presenta PlainsPeak, un quartetto acustico che rappresenta una "deliberata pivottata" verso un suono "puramente acustico.
Il progetto costituisce "un'emotiva lettera d'amore a Chicago" la città natale di Irabagon, e manifesta un approccio completamente nuovo alla sua estetica musicale, privilegiando l'intimità e l'immediatezza espressiva rispetto alla complessità tecnologica che aveva caratterizzato i suoi lavori precedenti.
PlainsPeak è composto da Jon Irabagon al sassofono alto, Russ Johnson alla tromba, Clark Sommers al contrabbasso acustico e Dana Hall alla batteria. Questa nuova ensemble presenta "tre musicisti eccezionalmente versatili del Midwest" che insieme a Irabagon creano un sound caratterizzato da chiarezza e intensità emotiva.
La scelta della formazione non è casuale: "Più che un nuovo gruppo, PlainsPeak rappresenta due profondi punti di ritorno per Irabagon". Il primo è "una reunion con Russ Johnson, che suonò nel primo album di Irabagon, 'Outright!', nel 2008". All'epoca, Irabagon aveva appena completato i suoi studi alla Juilliard di New York e cercava di approfondire il suo mestiere suonando insieme a improvvisatori più esperti.
Johnson, che si trasferì nel Wisconsin negli anni 2010 per un posto di insegnamento, divenne rapidamente "un pilastro della fervente comunità musicale improvvisativa di Chicago", una scena che, nella visione di Irabagon, offriva qualcosa di essenziale e radicante.
Anche il nome della band, PlainsPeak, rivela strati di intento. "A un livello, fa riferimento alla geografia", dice Irabagon. "Date le coste, noi siamo nel mezzo. Chicago è il picco delle Great Plains". Ma letto velocemente, il nome diventa un gioco di parole, "plain speak" – una metafora appropriata per il suono stripped-down a due fiati del gruppo e la sua voce onesta e diretta.
Per questo progetto, Irabagon lascia da parte "l'array di sassofoni rari ed esoterici" che aveva precedentemente esplorato, "inclusi il burly bass saxophone, il rare mezzo-soprano, e il hummingbird-like sopranissimo soprillo, e ritorna all'alto, il suo primo strumento".
"Originariamente intendevo suonare il tenore, soprattutto considerando la ricca tradizione del sax tenore di Chicago", spiega. "Ma ho suonato l'alto in quel primo disco con Russ, e alla fine, quello sembrava la scelta giusta".
Attraverso tutto l'album, le composizioni servono come finestre nella profonda relazione di Irabagon con la sua città, ogni traccia modellata da un'osservazione attenta, quasi ossessiva dei suoi dintorni. Quello che emerge da PlainsPeak non è meramente un album jazz, ma "una mappa emotiva e sonora di un luogo, disegnata attraverso gli occhi di un artista profondamente in sintonia con i suoi ritmi, textures, e idiosincrasie".
L'album presenta sei composizioni core, più una settima, che si legge come un generoso bonus. Questa non è musica per l'ascoltatore distratto.
"Quando ho deciso di tornare a Chicago", ricorda Irabagon, "sapevo che volevo riconnettermi con Russ". Questo album rappresenta quindi non solo una svolta artistica ma anche un ritorno personale alle radici, sia geografiche che musicali.
Il progetto testimonia come "ogni decisione compositiva, ogni configurazione dell'ensemble, sembra guidata da una filosofia artistica più ampia". L'approccio di Irabagon dimostra che "nulla si svolge per caso" nella sua concezione artistica.
"Someone to Someone" si presenta come un'opera di rara maturità artistica, dove "il piacere è totale. Uno ascolta. Uno respira. Uno si meraviglia". Traccia dopo traccia, Irabagon invita l'ascoltatore "in una Chicago che non è postcard-perfect ma alive, complex, e endlessly inspiring".

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