Nato nel 1931 in Pennsylvania, Conrad “Sonny” Clark mostrò sin da giovanissimo una naturale inclinazione per il pianoforte. La sua mano leggera, il senso innato per la melodia e il tocco brillante lo portarono rapidamente a distinguersi in un panorama musicale che, negli anni Cinquanta, era attraversato da un fermento creativo senza precedenti.
Clark trovò la sua dimensione ideale nella scena bebop e hard bop, due territori in cui la velocità del pensiero musicale, l’improvvisazione e l’energia si sposavano con una ricerca incessante di espressione personale. In realtà, il suo stile era il risultato di un assorbimento raffinato: l’energia di Bud Powell, l’eleganza armonica di Horace Silver, la brillantezza tecnica di Oscar Peterson, e persino echi dello swing di Art Tatum. Questa capacità di rielaborare le influenze, fondendole in un linguaggio personale, lo rese presto un pianista tra i più richiesti.
Il suo arrivo a New York segnò l’inizio di una stagione memorabile: divenne quasi il pianista “di casa” per la Blue Note, presente in innumerevoli sessioni, sempre in movimento, senza la possibilità di rallentare. Collaborò con figure leggendarie come Art Farmer, Hank Mobley, Jackie McLean e soprattutto con i giganti della Blue Note, che riconobbero subito in lui un talento raro.
Un momento cruciale della sua carriera fu l’album Sonny’s Crib (1957), inciso con Donald Byrd, John Coltrane, Paul Chambers e Art Taylor. Qui Clark mostrò la sua volontà di dare spazio e respiro all’improvvisazione, lasciando allungare i soli e giocando con tempi e strutture insolite. Poco dopo, con Cool Struttin’ (1958), realizzò un disco destinato a diventare un simbolo dell’hard bop, amato e ristampato all’infinito, soprattutto in Giappone.
Ma tutto il percorso discografico di Clark, pur breve, fu di grande rilevanza. Oltre a Cool Struttin’, spiccano lavori come Leapin’ and Lopin’ (1961), il suo ultimo album da leader, caratterizzato da un linguaggio maturo e dall’equilibrio perfetto tra lirismo e ritmo. Importanti anche Dial “S” for Sonny (1957), suo debutto per Blue Note, e Sonny Clark Trio (1958), che mostra il suo talento nella dimensione più intima del piano-trio.
Come sideman, Clark fu protagonista di registrazioni memorabili: accompagnò Dexter Gordon in Go! (1962), Grant Green in Nigeria e Oleo, e Buddy DeFranco in varie sessioni degli anni Cinquanta. La sua versatilità lo rese uno dei pianisti più amati dagli strumentisti a fiato, capace di offrire un accompagnamento solido e al tempo stesso ispirato.
Eppure, dietro la brillantezza del pianista si nascondeva un lato oscuro. Come molti musicisti della sua generazione, anche Sonny cadde nella trappola dell’eroina, una dipendenza che segnò profondamente la sua vita e la sua carriera. Le giornate di sessioni in studio e notti nei club erano accompagnate da un logorio silenzioso, che lentamente intaccava la sua salute e minava la sua stabilità.
In questo periodo fragile, una figura importante fu Pannonica de Koenigswarter, la baronessa che aprì le porte della sua casa a tanti musicisti jazz in difficoltà. Pannonica, che aveva già sostenuto Thelonious Monk e Charlie Parker, offrì anche a Clark amicizia, ospitalità e sostegno. La sua casa divenne per Sonny un rifugio, un luogo dove trovare calore umano lontano dalle pressioni dei club e dagli eccessi delle notti newyorkesi. La presenza di Nica non riuscì però a salvarlo dalla spirale della dipendenza, ma rimane un tassello significativo della sua vita privata: segno di quanto fosse amato e riconosciuto anche come uomo, non solo come pianista.
Il 13 gennaio 1963, a soli 31 anni, Sonny Clark fu trovato morto a New York, stroncato da un’overdose. A rendere ancora più amara la sua fine fu un errore burocratico: alla sua famiglia non venne restituito il corpo, e le procedure di riconoscimento furono confuse, lasciando un alone di smarrimento che avvolse anche il momento dell’addio. Un epilogo tragico, che sembrava amplificare l’ingiustizia di una vita spezzata troppo presto.
La sua scomparsa precoce lasciò un vuoto doloroso nella comunità jazzistica. Il talento di Clark era ancora in piena fioritura e la sua voce pianistica avrebbe potuto continuare a evolversi per decenni. Eppure, grazie al tempo e al risveglio dell’interesse critico, soprattutto in Giappone, i suoi dischi sono stati riscoperti e celebrati.
Pannonica de Koenigswarter non dimenticò mai Sonny Clark. Come aveva fatto con altri musicisti che le erano cari, continuò a parlarne, a custodirne la memoria, a sottolinearne il talento spesso trascurato. In un certo senso, il suo legame affettivo contribuì a non farlo scivolare nell’oblio, fino a quando nuove generazioni di appassionati e collezionisti riscoprirono i suoi dischi. Oggi, anche grazie a questa catena di memoria e devozione, Sonny Clark viene ricordato come uno dei pianisti più eleganti e originali della sua generazione.
Oggi Sonny Clark viene ricordato come uno dei pianisti più eleganti e originali della sua generazione.
La sua vicenda resta un monito e al tempo stesso un tributo: il jazz, con la sua bellezza e il suo dolore, ha trovato in lui uno dei suoi interpreti più autentici.

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