È un caleidoscopio di influenze, un viaggio attraverso l'evoluzione del linguaggio jazzistico contemporaneo, dove ogni traccia diventa il ritratto sonoro di un'emozione, di un ricordo, di un momento cristallizzato nel tempo.
Luca Gusella, milanese classe 1962 e diplomatosi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano nel 1986, è unanimemente considerato dalla critica nel novero dei migliori musicisti jazz italiani.
La sua storia artistica è quella di un esploratore sonoro che ha saputo attraversare confini stilistici apparentemente invalicabili, collaborando con giganti della musica come Ray Charles, Barry White, Giorgio Gaslini e Franco Battiato.
Ma "Portraits" rappresenta qualcosa di diverso nella sua carriera: qui Gusella non è più il sideman di lusso, il percussionista ricercato dalle grandi orchestre. È il leader di un trio che ha trovato la sua voce distintiva, il narratore di storie che si dipanano attraverso marimba, vibrafono e timpani con una naturalezza che sconfina nell'incantesimo.
Il trio si completa con Andrea Grossi al contrabbasso e Alessandro Rossi alla batteria, due musicisti che non si limitano a fornire una sezione ritmica di supporto, ma diventano co-protagonisti di un dialogo musicale di rara intensità. L'arte dell'improvvisazione è "diventata un caleidoscopio di influenze" le più differenti, e questo album ne è la perfetta dimostrazione.
La chimica tra i tre musicisti è palpabile fin dalle prime battute. Non c'è mai la sensazione di un leader che detta i tempi a dei gregari, ma piuttosto di tre voci che si intrecciano, si rispondono, si completano in un continuum musicale che fluisce con organicità sorprendente.
La tracklist di "Portraits" rivela l'ampiezza della visione artistica del trio: da "Felix" a "Amanda", passando per "Time Remembered", "Giant Steps" e "Goodbye Pork Pie Hat", ogni brano è scelto per la sua capacità di diventare un quadro sonoro, un ritratto appunto.
La presenza di "Giant Steps" di Coltrane e "Goodbye Pork Pie Hat" di Mingus non è casuale: sono omaggi a due giganti che hanno ridefinito il concetto di improvvisazione jazzistica. Ma Gusella non si limita a renderli: li reinterpreta attraverso il prisma delle percussioni melodiche, creando versioni che mantengono l'essenza degli originali pur acquisendo una personalità completamente nuova.
"Time Remembered" di Bill Evans trova nelle mani di Gusella una dimensione quasi impressionista, dove ogni nota del vibrafono sembra dipingere riflessi di luce su una superficie d'acqua. È jazz cameristico nella sua forma più pura, dove il silenzio ha la stessa importanza delle note suonate.
Gusella non è un iconoclasta: è un innovatore che rispetta profondamente la tradizione jazz. La sua ricerca ritmica, le sue soluzioni armoniche inaspettate, i suoi sconfinamenti stilistici nascono sempre da una conoscenza profonda del linguaggio classico del jazz. È come se ogni brano fosse un ritratto cubista: riconosci il soggetto, ma lo vedi da angolazioni completamente nuove.
Il contrabbasso di Grossi fornisce non solo la fondazione armonica, ma anche una voce lirica che dialoga costantemente con le percussioni. La batteria di Rossi è tutt'altro che convenzionale: è percussione melodica, ritmo che diventa melodia, tempo che si fa racconto.
"Portraits" non è un album che si accontenta di facili consensi. Richiede un ascolto attento, curioso, disposto a lasciarsi sorprendere. È jazz per intenditori, ma anche musica accessibile per chi è disposto a intraprendere un viaggio sonoro fuori dagli schemi convenzionali.
Come ha scritto il Giornale, "ascoltare, ne vale la pena", e questa semplice affermazione racchiude l'essenza di questo lavoro: un album che merita tempo, attenzione, disponibilità all'ascolto profondo.
Con "Portraits", il Luca Gusella Trio si conferma una delle realtà più interessanti del panorama jazz italiano contemporaneo. È musica che guarda al futuro senza dimenticare le radici, che innova senza tradire, che sorprende senza mai scadere nella gratuità.

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