Era il marzo del 1969 quando McLaughlin si ritrovò al Record Plant di New York per una jam session notturna. La compagnia era d’eccezione: Hendrix, allora in una fase di transizione creativa, era circondato dai suoi compagni più fidati e da altri musicisti che orbitavano attorno alla scena jazz e rock della città.
La session iniziò a notte fonda e proseguì fino alle prime ore del mattino, in un clima di libertà e improvvisazione totale.
McLaughlin, che in quel periodo viveva ancora tra mille difficoltà economiche, si presentò con una Gibson acustica dotata di un semplice pickup. Non avrebbe potuto immaginare che quella scelta si sarebbe trasformata in un ostacolo insormontabile.
Nel momento in cui collegò lo strumento agli amplificatori, il suono fu inghiottito da un feedback costante che rese impossibile qualsiasi fraseggio. In una sala dominata da Marshall al massimo volume, la sua chitarra sembrava quasi gridare di dolore, impedendogli di esprimersi come avrebbe voluto.
Se dal punto di vista musicale la jam fu un disastro, dal punto di vista umano rappresentò invece un momento di rara intensità. Hendrix si rivelò un artista straordinario non solo sul palco, ma anche nella vita quotidiana: gentile, cordiale e privo di atteggiamenti da star. Per McLaughlin fu una scoperta sorprendente, un ricordo che lo accompagnò anche negli anni successivi, quando ebbe occasione di rincontrarlo in contesti più tranquilli.
Col passare del tempo, quella jam è entrata nel mito, alimentata dalle registrazioni amatoriali che circolano ancora oggi tra appassionati e collezionisti. Nonostante il caos sonoro e le difficoltà tecniche, resta il fascino di un incontro irripetibile tra due chitarristi che, pur venendo da mondi diversi, stavano entrambi ridisegnando i confini della musica. Hendrix, con il suo linguaggio rock psichedelico, e McLaughlin, con il suo bagaglio jazz e la ricerca spirituale, si incrociarono in una notte che avrebbe potuto essere magica e che invece rimase segnata da imprevisti. Ma proprio in quell’imperfezione sta la sua forza narrativa.
L’esperienza non intaccò minimamente la stima reciproca tra i due musicisti. Anzi, servì a rafforzare l’idea che anche i momenti meno riusciti hanno un valore nel percorso di un artista. Oggi quella jam è ricordata come una tappa curiosa e affascinante nella storia della chitarra, un episodio che testimonia quanto la musica, anche quando non funziona, riesca comunque a raccontare una storia.

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