Andrew Hill at 94

Il compleanno di Andrew Hill è sempre un’occasione per tornare su uno dei percorsi più enigmatici, profondi e personali della storia del jazz moderno. 

Nato il 30 giugno 1931 a Chicago, Hill è stato pianista, compositore e pensatore del suono, capace di plasmare una visione musicale che sfuggiva alle categorie e si muoveva tra tradizione e avanguardia con naturalezza disarmante.

Nel panorama degli anni Sessanta, periodo cruciale per il jazz, la voce di Hill emerse con forza ma anche con una discrezione quasi ostinata. Non cercava il centro della scena, ma lo occupava in modo obliquo, attraverso armonie frastagliate, ritmi asimmetrici e una scrittura visionaria. 

Il suo lavoro con la Blue Note, in particolare, ha lasciato un'impronta indelebile: album come Point of Departure, Black Fire, Judgment! o Compulsion!!!!! sono manifesti di un'epoca inquieta, in cui il jazz si interrogava su se stesso e cercava nuove direzioni. Hill offriva risposte mai definitive, aperture piuttosto che soluzioni, e in questo stava la sua forza.

Il suo pianismo, spesso definito “cubista” o “architettonico”, era tuttavia sempre intriso di umanità. Anche nei passaggi più oscuri e complessi, si percepiva un'emozione trattenuta, quasi sospesa. Hill sembrava voler raccontare storie non dette, sussurri venuti da mondi interiori che solo la musica poteva tradurre. Questo lo rendeva diverso dagli altri, difficilmente classificabile, e forse proprio per questo rimasto a lungo in una sorta di limbo critico, troppo avanzato per alcuni, troppo radicato nel jazz per altri.

Eppure, la sua influenza è rimasta costante. Compositori e musicisti delle generazioni successive lo hanno riscoperto come figura di riferimento. Le sue strutture aperte, le melodie spezzate, il dialogo tra improvvisazione e scrittura, hanno ispirato un modo diverso di concepire il jazz come arte colta ma viscerale, libera ma rigorosa.

Riflettere su Andrew Hill nel giorno del suo compleanno significa quindi confrontarsi con una poetica dell’ambiguità, con un artista che ha saputo dire molto senza mai urlare, che ha inciso profondamente nella storia della musica afroamericana pur restando, per scelta o per destino, in penombra. 

La sua musica continua a interrogarci, a sorprenderci, a nutrire quel bisogno di profondità e di mistero che è parte essenziale del jazz. E oggi, più che mai, celebrare Hill significa non solo ricordare un maestro, ma anche riascoltarlo con attenzione nuova, lasciandoci condurre ancora una volta nel suo universo fragile, irregolare e pieno di bellezza.

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