È morto il compositore Lalo Schifrin

La scomparsa di Lalo Schifrin, avvenuta il 26 giugno 2025 all’età di 93 anni, segna la fine di un’epoca per la musica da film e, allo stesso tempo, per una certa idea di jazz: colta, raffinata, contaminata. Schifrin non è stato solo l’uomo dietro a colonne sonore iconiche come Mission: Impossible o Dirty Harry, ma anche un musicista dalla formazione ampia, capace di far convivere Duke Ellington e Johann Sebastian Bach, il bebop di Dizzy Gillespie e la tensione narrativa del grande schermo.

Nato a Buenos Aires nel 1932, Boris Claudio “Lalo” Schifrin cresce circondato dalla musica. Suo padre è primo violino nell’orchestra del Teatro Colón, ma Lalo guarda subito oltre la musica classica. 

A Parigi, dove studia al conservatorio, entra in contatto con i nuovi linguaggi della musica colta europea, ma soprattutto si lascia travolgere dal jazz, che in quel momento sta vivendo una delle sue stagioni più fertili. Inizia così il suo percorso di ibridazione: jazz, armonia classica, ritmi sudamericani, orchestrazione hollywoodiana. Un crogiolo che lo renderà unico.

Il punto di svolta arriva quando Dizzy Gillespie lo invita a suonare e scrivere per la sua band. Schifrin entra nel cuore del jazz americano degli anni Sessanta, firmando arrangiamenti sofisticati e suite ambiziose come Gillespiana. La sua scrittura non si limita ai soli o agli standard: è sinfonica, ricca di contrappunti, a tratti cinematografica. Non a caso, Hollywood comincia a bussare alla sua porta.

Negli anni successivi, Schifrin si trasferisce a Los Angeles e diventa uno dei compositori più richiesti del cinema. Ma non dimentica mai le sue radici jazzistiche. Il tema di Mission: Impossible, con il suo tempo irregolare in 5/4, è un perfetto esempio di come si possa trasportare lo swing in un contesto di massima tensione narrativa. In Bullitt e Dirty Harry fonde funk, jazz e musica orchestrale creando atmosfere urbane e tese che hanno definito un’epoca.

Accanto all’attività per il cinema, Schifrin non ha mai smesso di esplorare il jazz in senso puro. I suoi album degli anni ’60 come Lalo = Brilliance o quelli bossa nova come Piano, Strings and Bossa Nova mostrano una versatilità sorprendente. E più tardi, con la serie Jazz Meets the Symphony, ha portato la sua idea di jazz “colto” nei più grandi teatri del mondo, unendo big band e orchestra sinfonica in una sintesi visionaria e orchestrale.

Schifrin è stato anche un grande artigiano del ritmo e del colore. Amava i tempi dispari, le linee melodiche spigolose ma accattivanti, e sapeva orchestrare con la precisione di un Ravel e la libertà di un jazzista. Un ponte vivente tra continenti musicali, tra cultura alta e popolare.

La sua morte lascia un vuoto difficile da colmare, ma anche un’eredità immensa. Schifrin non ha solo scritto colonne sonore: ha cambiato il modo in cui le ascoltiamo. E ha portato il jazz in luoghi dove prima sembrava non potesse arrivare: al cinema, in televisione, nelle sinfonie, nelle nostre orecchie.

Come tutti i grandi, ha superato i generi. E forse è proprio questa la sua più grande lezione.

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