Max Roach: The Drum Also Waltzes

Il documentario Max Roach: The Drum Also Waltzes, andato in onda nella serie American Masters su PBS, traccia un ritratto profondo e sfaccettato di uno dei più influenti batteristi della storia del jazz. 

Diretto da Sam Pollard e Ben Shapiro, il film è il risultato di oltre vent’anni di lavoro, costruito grazie a una ricca raccolta di interviste, materiali d’archivio, fotografie e filmati familiari. Ne emerge una figura complessa: artista geniale, innovatore instancabile, padre affettuoso, uomo elegante, ma anche rigoroso e a tratti severo nel ruolo di bandleader.

Attraverso un racconto che intreccia vita personale e carriera artistica, il documentario segue il percorso di Roach fin dagli anni giovanili, mettendo in luce il suo ruolo chiave nello sviluppo del bebop accanto a leggende come Charlie Parker e Clifford Brown. Ma l’aspetto più affascinante è il modo in cui la musica, per Roach, si intreccia sempre all’impegno civile. 

Non era solo un virtuoso dello strumento: era un artista consapevole, profondamente coinvolto nella lotta contro le ingiustizie razziali. Lo testimonia la sua celebre affermazione secondo cui la musica può essere un’arma per combattere l’inhumanità dell’uomo verso l’uomo. La Freedom Now Suite, scritta insieme alla cantante Abbey Lincoln, con cui ebbe anche una intensa relazione personale, rappresenta uno dei momenti più forti di questo impegno politico attraverso il linguaggio del jazz.

L’indipendenza artistica fu un altro aspetto fondamentale della sua visione. Con Charles Mingus fondò Debut Records nel 1952, una delle prime etichette indipendenti create da musicisti, per liberarsi dalle logiche delle grandi case discografiche. Questo spirito di libertà si riflette anche nelle sue sperimentazioni musicali: concerti solisti per sola batteria della durata di novanta minuti, incursioni nella musica d’avanguardia, collaborazioni con ensemble di sole percussioni e un dialogo sorprendente con la scena hip-hop newyorkese degli anni Ottanta.

Le testimonianze raccolte nel film, da Sonny Rollins a Dee Dee Bridgewater, da Fab Five Freddy a Harry Belafonte, costruiscono un mosaico vivido e coinvolgente. Non si tratta solo di rendere omaggio a un grande musicista, ma di restituire l’immagine di un uomo che ha vissuto la sua arte come un atto di resistenza, sempre in dialogo con la società e con il proprio tempo. 

Il documentario si chiude con le immagini del suo funerale alla Riverside Church di New York, accompagnate dalle parole toccanti di Maya Angelou e da un ricordo potente: quello di un artista che diceva al figlio che, se non avesse scelto la batteria, avrebbe finito per impugnare una pistola. La musica, in questo senso, è stata per lui una forma di salvezza, ma anche un modo per cambiare il mondo. (Fonte JME)

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