Brandee Younger – Gadabout Season

Con Gadabout Season, la straordinaria arpista americana Brandee Younger firma un lavoro profondo, personale e pieno di sfumature, che conferma la sua posizione tra le voci più originali del jazz contemporaneo. 

Se negli album precedenti la sua musica sembrava dialogare con l’eredità spirituale di giganti come Dorothy Ashby e Alice Coltrane, qui l’intento è diverso: l’omaggio lascia spazio all’autodefinizione, e la scrittura si fa confessione, esplorazione e desiderio di appartenenza.

Il titolo dell’album nasce da una parola curiosa: “gadabout”, un termine che Younger scopre quasi per caso durante un tour e che significa, più o meno, “vagabondo felice”. Una persona che si muove per il piacere stesso del movimento, della scoperta. 

E Gadabout Season è esattamente questo: un disco nomade, che si muove tra stati d’animo, territori musicali e ricordi affettivi, sempre con passo leggero ma consapevole. Registrato nel suo studio di Harlem, in un processo lento e meditato, l’album riflette un periodo di raccoglimento e trasformazione, in cui la compositrice sceglie di tornare alle sue radici per raccontare chi è oggi.

L’arpa di Brandee Younger non è mai strumento decorativo: è voce narrante, corpo sonoro che respira con lei. Ogni brano sembra avere una funzione ben precisa in questo diario sonoro. C’è l’introspezione e la tenerezza, ma anche la grinta di chi ha attraversato conflitti interiori. Le collaborazioni con artisti come Shabaka Hutchings, Joel Ross, Courtney Bryan, Makaya McCraven e Josh Johnson non sono meri cameo, ma vere e proprie interazioni musicali che arricchiscono la trama del racconto, mantenendo una coerenza estetica sorprendente. Ogni contributo sembra nascere da un dialogo empatico con l’universo sonoro dell’artista, e contribuisce a costruire un paesaggio dove jazz, soul, R&B, spiritualità e modernità convivono in equilibrio.

Rispetto ai lavori precedenti, Gadabout Season appare meno interessato alla dimostrazione tecnica e più attento al gesto espressivo. L’arpa resta centrale, ma viene spesso circondata da groove morbidi, linee di basso avvolgenti, incursioni elettroniche e atmosfere che sembrano uscite da un sogno soul o da un film jazz-futurista. Le melodie, mai scontate, si dipanano lentamente, lasciando spazio all’ascolto, alla contemplazione, e a volte anche al silenzio.

Il disco non urla, ma persuade. Non cerca lo stupore immediato, ma lavora sulla lunga durata, sulla stratificazione di ascolti, sulla complicità che si crea tra artista e pubblico. Brandee Younger, con questo lavoro, mostra una rara maturità: non ha bisogno di forzare l’innovazione, perché il suo modo di suonare e di scrivere è già di per sé un atto di rinnovamento. È un jazz che guarda al passato ma parla il linguaggio del presente, che si nutre di spiritualità ma respira libertà creativa.

Gadabout Season è un album da attraversare come si attraversa una città sconosciuta: con curiosità, attenzione e apertura. Un lavoro che racconta la bellezza dell’inquietudine, la forza della ricerca e la dolcezza del ritorno. Un disco che non solo conferma Brandee Younger come una delle voci più affascinanti del jazz contemporaneo, ma che la consacra definitivamente come artista capace di inventare un linguaggio proprio, radicato nella storia ma rivolto verso l’ignoto.


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