Un ricordo di Steve Lacy nel giorno del suo compleanno

NEPM – New England Public Media

Oggi ricordiamo uno dei più rivoluzionari e influenti sassofonisti della storia del jazz: Steve Lacy, nato Steven Norman Lackritz il 23 luglio 1934 a New York. Un musicista che ha trasformato completamente il ruolo del sassofono soprano nel panorama jazzistico contemporaneo.

Se Steve Lacy fosse ancora con noi, oggi compirebbe 91 anni. Il musicista, scomparso il 4 giugno 2004 a Boston, iniziò la sua straordinaria avventura musicale a soli sedici anni suonando jazz tradizionale con Henry "Red" Allen, Pee Wee Russell, Pops Foster, Zutty Singleton e successivamente con jazzisti di Kansas City come Buck Clayton, Dicky Wells, e Jimmy Rushing.

Questi primi anni furono fondamentali per la sua formazione, ma fu la sua visione rivoluzionaria del sassofono soprano a distinguerlo nel panorama musicale degli anni '50. In pratica uno strumento inesplorato, anch'esso fuori dal ciclone bop e limitato al fenomeno dixieland. Tutto questo più o meno fino al 1958, anno di pubblicazione di Soprano Sax, primo album solista di Steve Lacy pubblicato dalla Prestige.

Thelonious Monk è stato per Lacy un maestro, non solo in senso musicale, ma anche spirituale e artistico. La loro collaborazione rappresenta uno dei momenti più alti della storia del jazz moderno. La maggior parte della sua carriera l'ha passata con Thelonious Monk: con lui incise il primo album (1958). Per breve tempo suonò nella band di Monk nel 1960 e successivamente suonò nella "Monk Big Band", dal 1963.

Il rapporto con Monk fu così profondo che i Brani di Monk diventarono un elemento permanente del suo repertorio. La dedizione di Lacy alle composizioni di Monk non si limitò a un semplice omaggio: rappresentò una vera e propria missione artistica di preservazione e reinterpretazione dell'eredità musicale del grande pianista.

Salito alla ribalta negli anni '50 come musicista progressive dixieland, Lacy intraprese una carriera lunga e prolifica. Lavorò ampiamente nel jazz sperimentale e, in misura minore, nell'improvvisazione libera, ma la musica di Lacy era tipicamente melodica e rigorosamente strutturata. Questa apparente contraddizione tra sperimentazione e struttura rappresenta l'essenza del genio di Lacy.

Il musicista sviluppò un approccio compositivo unico: Lacy divenne anche un compositore estremamente distintivo, con composizioni spesso costruite su poco più di una singola frase interrogativa, ripetuta più volte e variata in infinite sfumature espressive. Questo metodo compositivo, apparentemente semplice, nascondeva una complessità architettonica straordinaria.

Oltre al sodalizio con Monk, Lacy collaborò con figure chiave del jazz d'avanguardia. Anche le collaborazioni con Cecil Taylor e Gil Evans sono illuminanti per il giovane Lacy. Compare in Jazz Advance (1956), l'album di debutto di Cecil Taylor, con il quartetto dello stesso Taylor al Festival del jazz di Newport nel 1957 e in uno dei primi album di Gil Evans GIl Evand Plus Ten.

Fu proprio Gil Evans a credere nelle potenzialità del giovane sassofonista. Fu lui ad inventare un ruolo per me in un'epoca in cui nessuno suonava il sax soprano. Gil Evans mi aveva sentito suonare cinque anni prima con un gruppo di dilettanti e lo avevo colpito al punto che mi cerco' a New York per realizzare il suo primo disco, ricordava lo stesso Lacy.

Un momento cruciale nella carriera di Lacy fu la decisione di trasferirsi in Europa. La mia musica era troppo radicale ... jazz club, programmi radiofonici, produttori discografici, critici ed appassionati. Fu per questo che sono venuto in Europa e ci sono rimasto. Adesso la situazione è cambiata e New York è molto aperta alle musiche di ricerca.

Questo "esilio" europeo, durato molti anni, permise a Lacy di sviluppare ulteriormente il suo linguaggio musicale, trovando un pubblico più ricettivo alle sue sperimentazioni e alla sua visione artistica.

La vastità della produzione discografica e del pensiero musicale di Lacy è testimoniata da numerose pubblicazioni. Trentaquattro interviste che coprono l'intero arco della carriera di Steve Lacy, dal 1959 al 2004, apparse in riviste di jazz americane ed europee ma anche inedite, per illustrare la straordinaria evoluzione della carriera e del suo pensiero musicale.

Queste testimonianze includono una sezione di scritti autobiografici e artistici con vari inediti – riprodotti nella nitida calligrafia dello stesso sassofonista – le partiture autografe di tre canzoni su testi poetici, una discografia consigliata e molte foto storiche.

Se oggi il sax soprano è onnipresente sui palchi del jazz lo si deve alla curiosità musicale e alla visione pionieristica di Steve Lacy. Prima del suo contributo, il sassofono soprano era considerato uno strumento marginale, relegato principalmente al dixieland tradizionale.

La "reimmaginazione dello strumento" operata da Lacy ha aperto possibilità espressive completamente nuove, influenzando generazioni di musicisti e cambiando per sempre il volto del jazz contemporaneo.

Il contributo di Steve Lacy al jazz va ben oltre la sua abilità tecnica e interpretativa. È stato un compositore prolifico, un educatore dedicato e un pensatore musicale profondo. La sua filosofia artistica, basata sulla ricerca costante di nuove forme espressive pur mantenendo un profondo rispetto per la tradizione, continua a ispirare musicisti in tutto il mondo.

Merita una citazione a parte il sodalizio con Mal Waldron chè stato uno dei più longevi e affascinanti del jazz contemporaneo. Iniziato alla fine degli anni ’50, ha trovato una sua piena maturità nei decenni successivi, soprattutto in Europa, dove entrambi si stabilirono. 

I due musicisti, pur così diversi per approccio — Waldron con il suo tocco meditativo, quasi rituale, e Lacy con un fraseggio tagliente, ironico, tutto costruito su linee essenziali — hanno saputo costruire un dialogo profondo, capace di rinnovarsi costantemente. Insieme hanno inciso numerosi album, da Journey Without End a Communiqué, esplorando sia composizioni originali che il repertorio di Thelonious Monk, punto d’incontro privilegiato per entrambi.

Ecco un video girato a Roma nel 1990, una testimonianza preziosa di questa intesa. Il linguaggio che parlano è fatto di accenni, pause, risposte sottili. Lacy sfoggia il suo inconfondibile timbro al sax soprano, limpido e tagliente, mentre Waldron lo accompagna con accordi spigolosi, ma sempre densi di significato. L’improvvisazione non è mai puro virtuosismo, ma un’esplorazione condivisa, una conversazione tra due vecchi amici che si conoscono nel profondo. Anche nella qualità spartana della registrazione, emerge tutta la forza di un’intesa rara: quella tra due artisti che, più che suonare insieme, pensano insieme.

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