È quello che succede ascoltando “Is That Jazz?”, il nuovo disco firmato dalla contrabbassista e compositrice Silvia Bolognesi insieme alla voce intensa e magnetica di Eric Mingus, figlio del leggendario Charles, poeta e performer dalla forte impronta teatrale.
Un titolo che non è solo provocazione ma interrogazione aperta, dichiarazione d’intenti, manifesto artistico: è questo il jazz?
L’incontro tra Silvia Bolognesi ed Eric Mingus non è uno di quelli comodi o rassicuranti. Non cercano punti in comune per accomodarsi su un’estetica condivisa, ma si lanciano in un dialogo crudo e necessario, fatto di contrasti, ironia, intensità poetica e libertà assoluta.
Silvia Bolognesi, tra le voci più originali del jazz contemporaneo italiano ed europeo, già nota per i suoi lavori con l’Art Ensemble of Chicago e per i progetti sperimentali che spaziano dall’improvvisazione radicale al groove, si confronta qui con una voce narrante, cantata e recitata, che scuote e coinvolge: quella di Eric Mingus, performer che ha fatto dell’ibridazione tra spoken word, blues, free jazz e teatro la sua cifra espressiva.
Nel disco si alternano momenti di improvvisazione libera, groove sghembi, linee di basso che pulsano come cuore vivo e parole che sembrano domande lanciate nel vuoto. Non ci sono melodie accomodanti, non c’è la struttura classica del tema con assolo: qui si naviga in territori aperti, ibridi, indefiniti, dove ogni brano è una scena teatrale, un frammento poetico, un pezzo d’anima.
La voce di Mingus non canta nel senso tradizionale, ma recita, sussurra, urla, ironizza, con uno stile che ricorda Gil Scott-Heron, Tom Waits, William Parker, ma che rimane unico e personale. I testi sono sarcastici, politici, esistenziali. E la musica di Bolognesi – che qui suona anche strumenti elettronici e oggetti non convenzionali – non accompagna, sfida.
"Is That Jazz?" non è solo una provocazione: è anche un omaggio implicito a Gil Scott-Heron, che con quel titolo firmava già nel 1980 un brano-manifesto contro le etichette musicali imposte dall’industria. Il messaggio è chiaro: il jazz non è stile, ma pratica di libertà, atto politico, modo di stare al mondo.
Bolognesi e Mingus si muovono su questa linea, mettendo in discussione ogni convenzione e scegliendo un linguaggio che attinge al jazz ma lo spoglia di ogni compiacimento. È jazz? Forse sì, forse no. E proprio lì sta il punto.
“Is That Jazz?” è un lavoro che disturba e seduce, che fa ridere amaro e riflettere. Non è pensato per l’ascolto passivo o per compiacere i puristi. È un invito alla partecipazione, alla consapevolezza, alla rottura del silenzio.
In un’epoca in cui il jazz rischia spesso di diventare una musica da museo, Bolognesi e Mingus lo riportano nel corpo vivo dell’arte, come spazio di resistenza, di invenzione, di critica. È un disco che si ascolta con le orecchie e con la pelle. E che ci ricorda che, in fondo, il jazz non è una risposta. È sempre, ancora, una domanda.

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