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| Vsb at English Wikipedia. CC BY-SA 3.0 |
Jamal ha attraversato le epoche con passo leggero ma deciso, influenzando giganti come Miles Davis e contribuendo, con discrezione e coerenza, alla costruzione di un linguaggio musicale più ampio, meditativo e spazioso. Ahmad Jamal è stato uno di quegli artisti rari capaci di rimanere fedeli a una propria visione estetica per tutta la vita, e allo stesso tempo influenzare profondamente generazioni di musicisti.
Nato a Pittsburgh il 2 luglio 1930 con il nome di Frederick Russell Jones, Jamal iniziò a studiare pianoforte in tenera età, mostrando da subito un talento naturale non solo per lo strumento, ma anche per la composizione e l’arrangiamento. Cresciuto in un ambiente in cui la musica classica conviveva con il jazz più viscerale, Jamal ha sempre rifiutato di considerare il jazz come una musica “minore”, rivendicandone la complessità e la raffinatezza.
Negli anni ’50, dopo essersi convertito all’Islam e aver assunto il nome Ahmad Jamal, il pianista iniziò a imporsi con un trio che sembrava suonare in punta di piedi, ma che in realtà stava scuotendo le fondamenta del jazz moderno. L’album At the Pershing: But Not for Me del 1958, registrato dal vivo a Chicago, divenne uno dei più grandi successi del periodo. Brani come “Poinciana” rivelano tutta la sua estetica: ritmi morbidi, uso magistrale dello spazio, interplay raffinato, senso quasi architettonico delle proporzioni.
Miles Davis, che lo ascoltava con grande attenzione, ammise più volte di essersi ispirato al suo stile: “Ahmad Jamal è uno dei musicisti che più mi hanno influenzato. Mi piace il suo senso dello spazio, il modo in cui lascia respirare la musica”. E non era il solo: Herbie Hancock, McCoy Tyner, Keith Jarrett – tutti hanno, in modi diversi, assorbito qualcosa dal suo approccio.
Ma Jamal non fu mai solo un pianista: fu un visionario del suono. La sua musica è costruita con la precisione di un architetto e la sensibilità di un poeta. Ogni nota, ogni pausa, ogni accento ha un significato.
In un’epoca in cui il virtuosismo sembrava essere l’unico metro di misura, Jamal dimostrava che meno può essere infinitamente di più. I suoi trii, spesso minimalisti, suonavano come piccole orchestre. Le dinamiche, i contrasti, i silenzi: tutto era pensato, ma mai rigido. La sua musica era viva, dialogante, profondamente umana.
Nel corso della sua lunga carriera – durata oltre sette decenni – Jamal ha continuato a reinventarsi, collaborando con musicisti giovani, esplorando nuovi linguaggi, registrando dischi che mantenevano intatta quella lucidità espressiva che lo aveva reso unico fin dagli esordi. Anche in tarda età, i suoi album – da Blue Moon (2012) a Ballades (2019) – dimostrano una vitalità creativa sorprendente.
È scomparso il 16 aprile 2023, ma non ha mai smesso di essere un punto di riferimento. Ricordarlo nel giorno del suo compleanno non è solo un atto di memoria, ma un invito all’ascolto attento, alla riscoperta di un'arte che ancora oggi può insegnare molto a chi cerca nel jazz non solo energia, ma anche bellezza, forma e profondità.
Per omaggiarlo, rivedere il video della "Jazz Session" del 1971 è un gesto quasi doveroso. È un documento prezioso non solo per la bellezza della musica, ma anche per ciò che rivela del modo in cui Jamal concepiva il trio jazz. Al fianco di Jamil Nasser al contrabbasso e Frank Gant alla batteria, Jamal guida la formazione con una sensibilità tutta particolare: i silenzi sono pensati, le dinamiche curate con attenzione millimetrica, e ogni nota sembra avere un peso specifico preciso, come se facesse parte di un sistema più grande, invisibile ma perfettamente coeso.

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