Nato a Philadelphia nel 1938, Morgan era un prodigio. A 15 anni già suonava professionalmente, a 18 entrava nella big band di Dizzy Gillespie e, poco dopo, veniva accolto da Blue Note Records, la casa discografica che avrebbe documentato la sua ascesa tra le stelle del jazz. Ma è nel 1958, quando si unisce ai Jazz Messengers di Art Blakey, che qualcosa scatta davvero: non solo nel suo stile, ma in tutto il suono del gruppo.
Morgan è stato uno degli interpreti più completi dell’hard bop. Ma nel corso della sua carriera ha mostrato mille sfumature: l’energia frenetica di The Sidewinder (1963), il lirismo delicato di Ceora, l’introspezione spirituale di Search for the New Land. Ogni suo disco è un ritratto a sé. Era un artista curioso, inquieto, mai fermo.
Negli ultimi anni, Morgan stava anche diventando una figura importante nella scena jazz newyorkese: coinvolto in collettivi, politicamente attivo, consapevole della difficile condizione degli artisti afroamericani in quel periodo. Purtroppo, nel 1972, la sua vita venne interrotta brutalmente in una delle storie più tragiche e note della storia del jazz. Ma oggi, a distanza di più di cinquant'anni, resta la musica, viva, urgente, attuale.
Chi vuole capire il genio giovane e sfacciato di Lee Morgan, non può perdersi il video del concerto dei Jazz Messengers in Belgio nel 1958. È una registrazione preziosa, in bianco e nero, che restituisce tutta la carica dell’ensemble: Art Blakey alla batteria, Morgan alla tromba, Benny Golson al sax tenore, Bobby Timmons al piano e Jymie Merritt al contrabbasso. Un quintetto in stato di grazia.
Morgan è magnetico: fiero, brillante, pieno di swing. La sua tromba taglia l’aria con frasi precise, ardenti, ma sempre melodiche. Non suona mai solo per stupire: cerca il canto, l’espressività, quel tocco blues che rende la sua musica accessibile anche nei momenti più virtuosi. E Blakey, come sempre, lo incalza, lo sostiene, lo provoca. È un dialogo tra titani, e noi siamo lì, a un metro da loro.
Nel giorno del suo compleanno, il modo migliore per ricordare Lee Morgan è ascoltarlo. Magari proprio partendo da quel video del 1958: un giovane con la tromba in mano, già pieno di idee, già capace di trascinare un gruppo tra i più forti dell’epoca.

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