Registrato prevalentemente al di fuori dei contesti tradizionali, il progetto mette al centro la gioia e la libertà creativa, grazie a undici brani originali – più una cover reimmaginata di un famoso verso dei Commodores (“Brick House”, 1977). La registrazione è avvenuta con strumenti digitali come GarageBand e Logic (droni, loop, Auto-Tune, effetti vocali, filtri…), dimostrando un approccio che abbina la tecnicalità alla leggerezza dell’improvvisazione
Salvant attinge alla sua formazione musicale sfaccettata (bambina nata a Miami, cresciuta coi boy band, il grunge, il folk, il classico), per riflettere questo caleidoscopio di influenze: così si alternano pezzi da party con beat, samba e ballate sussurrate.
Il brano che dà il titolo al disco, “Oh Snap”, mette in evidenza una sperimentazione vocale audace: Salvant ha lavorato fianco a fianco con il mixer Jack DeBoe per ottenere un sound volutamente imperfetto, «più sporco e selvaggio», un passo in avanti rispetto a una vocalità pulita, classica.
Dietro questo disco c’è una vera e propria «sfida creativa». Salvant riconosce di aver perso un po’ il contatto con la musica perché sentiva troppo forte l’obbligo di «farla bene». Da qui l’idea di riavvicinarsi come a un diario: musica intima, espressa liberamente, come un gioco senza rete .
Il disco è arricchito dalla presenza di collaboratori di fiducia – come il pianista Sullivan Fortner, il bassista Yasushi Nakamura e il batterista Kyle Poole – oltre alle partecipazioni di June McDoom e Kate Davis.

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