Charlie Parker With Strings

C'è un momento nella carriera di ogni grande artista in cui il desiderio di esplorare orizzonti nuovi si impone su tutto. Per Charlie Parker, genio inquieto e impareggiabile del sax alto, quel momento si chiamò "With Strings". 

Un titolo semplice, quasi dimesso, dietro cui si cela un capitolo cruciale nella storia del jazz – e uno dei dischi più controversi, amati e influenti del bebop e oltre.

L'idea di affiancare il suo sax alto a un ensemble d’archi non nacque nei corridoi delle case discografiche, ma direttamente dal cuore di Parker. Era un progetto che coltivava da tempo: un modo per nobilitare il linguaggio del bebop, elevarlo con gli elementi classici della musica "colta", e al contempo raggiungere un pubblico più ampio. 

Per quanto Parker fosse immerso nella frenesia improvvisativa e ritmica del jazz moderno, il suo orecchio era costantemente attirato dalla raffinatezza delle orchestrazioni di Ravel, Debussy, Stravinsky.

In un’intervista, dichiarò:“Volevo suonare con un’orchestra d’archi… era sempre stato il mio sogno.” Non era l’unico jazzista ad avere simili ambizioni, ma fu probabilmente il primo della sua generazione a concretizzarle in modo tanto audace e poetico.

Registrato nel 1949 e 1950 per la Mercury Records (poi pubblicato sotto il marchio Clef di Norman Granz), Charlie Parker With Strings si presenta come una fusione tra lo standard jazzistico e l’estetica della musica da camera. L’ensemble comprendeva violini, viola, violoncello, arpa, oboe e clarinetto, oltre a una sezione ritmica jazz di chitarra, contrabbasso e batteria. Gli arrangiamenti furono affidati a Jimmy Carroll e, successivamente, a Joe Lipman.

Il repertorio? Una selezione di ballad e standard – da "April in Paris" a "Summertime", da "Just Friends" a "I’ll Remember April" – che permettono a Parker di modulare il suo lirismo, spesso oscurato dalla velocità e dalla complessità del bebop, in una dimensione intima, cantabile, quasi romantica.

Al momento della pubblicazione, Charlie Parker With Strings spiazzò molti ascoltatori. I puristi del jazz storsero il naso: un’icona del bebop che si abbandona a orchestrazioni zuccherose? Un compromesso commerciale? Una resa alla middle class bianca?

Eppure, il disco ebbe un enorme successo presso il pubblico e aprì nuove strade espressive. Parker suona con un'intensità lirica che disarma: ogni nota del suo sax sembra scolpita, ogni frase è un piccolo poema. La sua improvvisazione non è mai forzata, ma al servizio del racconto emotivo.

"Just Friends", ad esempio, è diventata una delle sue esecuzioni più celebri di sempre. La melodia, che in altre mani potrebbe suonare manierata, qui diventa un’esplorazione profonda del sentimento. Parker la smonta, la reinterpreta, la riveste di nuova vita, pur restando sempre all’interno della struttura dell’arrangiamento.

Charlie Parker With Strings non è solo un esperimento riuscito: è un ponte tra mondi musicali apparentemente inconciliabili. Ha influenzato generazioni di musicisti, da Clifford Brown a Wynton Marsalis, e ha aperto la strada a esperienze simili: pensiamo agli album orchestrali di Stan Getz, Chet Baker, o allo splendido Focus di Stan Getz con Eddie Sauter.

Ma soprattutto, ha mostrato che l’improvvisazione jazz poteva convivere con arrangiamenti classici senza perdere la propria libertà. Che un sassofono alto, se guidato da un’anima come quella di Parker, poteva dialogare con violini e arpe e creare qualcosa di assolutamente nuovo.

Riascoltare oggi Charlie Parker With Strings significa entrare in un mondo sospeso: quello in cui il jazz smette di urlare la sua rivoluzione e si concede un momento di introspezione. È l'altra faccia di Bird – non quella del virtuosismo vertiginoso, ma dell’interprete raffinato, sensibile, affamato di bellezza.

In un’epoca come la nostra, in cui la contaminazione è la regola e i generi si fondono con naturalezza, questo album risuona con una freschezza sorprendente. È un disco per chi ama il jazz, ma anche per chi ne è intimidito; è un invito ad ascoltare la voce segreta di Charlie Parker, quella che sognava di suonare tra le pieghe morbide di un’orchestra. 

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